Uccise la moglie malata: "Non sopportavo di vederla soffrire"

Vitangelo Bini, ex vigile urbano, è stato interrogato in Corte d’Assise. Deve rispondere di omicidio volontario

L’ex direttore generale dell’ospedale di Prato, Bruno Cravedi, la sera dell’omicidio di Mara Tani

L’ex direttore generale dell’ospedale di Prato, Bruno Cravedi, la sera dell’omicidio di Mara Tani

Prato, 4 febbraio 2016 - "Non era più vita, non era più una persona e non riuscivo a vederla soffrire in quel modo». Sono le parole di Vitangelo Bini, 86 anni, ex vigile urbano, di fronte alla Corte d’Assise di Firenze. Bini è imputato per l’omicidio della moglie, Mara Tani, avvenuto il primo dicembre del 2007 in una corsia dell’ospedale di Prato, il vecchio Misericordia e Dolce.

Mara era malata da tempo, soffriva di Alzheimer. La malattia era allo stadio terminale e la donna era ricoverata da quattro giorni. Bini, difeso dal’avvocato Lapo Bechelli, è stato ascoltato ieri per la prima volta nell’aula bunker del tribunale di Firenze, dopo nove anni dalla morte della moglie. L’anziano è accusato di omicidio volontario con l’aggravante del rapporto di coniuge. Un interrogatorio toccante nel quale Bini, che a più riprese si è commosso, ha ripercorso tutta la vicenda. Commozione e lacrime che hanno colto Bini anche durante le deposizioni dei testimoni, un medico, i vicini di casa di Firenze, un amico della coppia, un collega e un sacerdote. Vitangelo Bini, ex vigile urbano a Firenze, si era trasferito a Prato, alle Fontanelle, nel 2006 insieme all’amata Mara. La moglie si era ammalata di Alzheimer nel 1999 e da allora il marito si era sempre preso amorevolmente cura di lei. La vestiva, la lavava, le dava da mangiare. La prendeva in collo per portarla fuori perché la carrozzina non entrava nell’ascensore di casa. La malattia, inesorabile, aveva portato Mara al distacco quasi totale dalla realtà, a uno stato di precoma fino al ricovero.

Era sabato pomeriggio, l’ora del passo, quando Bini si recò in ospedale a trovare la moglie. Con sé aveva una pistola di piccolo calibro, legalmente detenuta. Dopo aver messo due asciugamani intorno alla testa di Mara e sul petto, le sparò di fronte a cinque anziane pazienti. Fu lo stesso Bini a chiamare la polizia. «Quel giorno mia figlia mi disse che la mamma ‘soffriva tanto’ e che all’ospedale non le davano gli antidolorifici – ha riferito Bini in aula – Mi disse che i medici le avevano spiegato che avrebbe potuto sopravvivere un giorno come un mese. Ma lei soffriva e io non potevo stare a guardare. Mia figlia mi chiedeva di ‘fare qualcosa’, di andare dai medici per farle dare gli antidolorifici». In questi anni Bini è stato sottoposto a svariate perizie psichiatriche che hanno stabilito il vizio parziale di mente facendo cadere l’aggravante della premeditazione contestato, in un primo momento, dal sostituto procuratore Laura Canovai.

«Il mio assistito è entrato in una sorta di ‘bolla di follia’ – ha spiegato l’avvocato Bechelli – Quando la figlia gli ha detto ‘fai qualcosa’, nel senso di intervenire con i medici per gli antidolorifici, è andato in tilt. E’ sempre stato accanto alla moglie, negli anni duri della malattia si è sempre preso di cura di lei amorevolmente. Quello di mettere gli asciugamani intorno alla testa è stato un ulteriore atto di amore per non bruciarle la pelle con il fuoco dello sparo». L’udienza è stata aggiornata a marzo per la discussione e la sentenza.