Non paga tasse e prosciuga azienda. Poi va in Tunisia con un milione

Incastrato dalla guardia di finanza. Il processo è fermo da tre anni

La guardia di finanza ha fatto tutti gli accertamenti del caso

La guardia di finanza ha fatto tutti gli accertamenti del caso

Pontedera, 24 febbraio  - Lui è da tempo ad Hammamet. Con tutta probabilità con i soldi che sta tentando di contestargli la giustizia italiana: oltre un milione di euro di denari illecitamente distratti dall’attività dell’azienda di cui era titolare. Frutto anche del risparmio di tasse che non avrebbe pagato: circa un milione e 700 mila euro. Una vicenda che ha avuto l’ultimo atto ufficiale il 28 maggio del 2007 quando l’azienda dell’imprenditore – un marchio della filiera della pelle in provincia di Pisa – viene dichiarata fallita. Ma lui, stando al processo in corso a Pisa, a quel punto aveva sistemato tutto. Bancarotta fraudolenta è il reato che viene contestato al sessantenne nato e a lungo residente in Valdera e che ora – stando alle notizie sul suo conto – si troverebbe ancora in Tunisia, nel ben ritiro della capitale, forse ancora con alcuni interessi nel mondo della pelle e della moda. Ma cosa avrebbe fatto quest’imprenditore per mettere da parte un bel gruzzolo? Oltre a non pagare le tasse, avrebbe provveduto, in maniera sistematica, a prosciugare i conti dell’azienda dirottando annualmente fondi su un conto personale con la motivazione di versamenti all’amministratore. Infatti i connotati della bancarotta sono riconducibili nel complesso a un’attività di dissimulazione delle proprie disponibilità economiche reali, oppure a un’attività di destabilizzazione del proprio patrimonio, diretta a realizzare una insolvenza, anche apparente, nei confronti dei creditori.

L’esistenza di una sentenza dichiarativa di fallimento è però necessaria perché si possano configurare dei reati fallimentari. E questa, come sappiamo, nelle vicenda è intervenuta nel 2007. Per esempio, nel 2003, avrebbe dirottato circa 300 mila euro, l’anno successivo, 147 mila, poi oltre 200mila e cosi via. Fino ad arrivare a quel milione e 100mila euro e spiccioli che sono indicati nel capo d’imputazione. L’evasione dei tributi consiste in mancati versamenti irap, irfep e iva (per quest’ultima, pare, tutto già passata in precisione) fino al 2006. Quindi l’indagine scattata su tutta la vicenda e coordinata dal pubblico ministero Aldo Mantovani, a seguito della quale c’è stata imputazione dell’imprenditore. Il processo, invece, ha preso piede nel 2013 davanti il collegio presieduto dal giudice Salutini (a latere D’Auria). Ma in realtà, però, ancora la fase dibattimentale non è riuscita a decollare da una parte le per lungaggini della burocrazia e dell’altra per le continue eccezioni sollevate dalla difesa sulle mancate o le errate notifiche.

L’imprenditore è difeso d’ufficio dall’avvocato Rolando Rossi del foro di Pisa che spiega: «Faccio soltanto il mio dovere – ammette il legale – E cerco di farlo bene, sollevando le eccezioni. Il mio cliente è in Tunisia e comunque farò la mia parte anche quando il processo riuscirà ad entrare nella vera fase dell’istruttoria dibattimentale». Nei giorni scorsi sempre un’eccezione ha fatto slittare ancora: si torna in aula a fine settembre. Tra i primi teste che dovranno essere sentiti sono gli operanti della Guardia di Finanza che fecero gli accertamenti e gli atti di polizia giudiziaria. Tra i soggetti da sentire, sicuramente, anche il curatore fallimentare.