Delitto di Sammommè: l'assassino visto mentre la spiava dal bagno

Il particolare macabro sarebbe stato riferito da una vicina di casa. Il ritratto di Lamiae: solare e amata dalle famiglie del paese

Lamiae Chriqi

Lamiae Chriqi

Pistoia, 10 ottobre 2016 - L'avrebbe spiata dalla finestrella del bagno nel quale l’aveva appena rinchiusa, forse per assicurarsi che le fiamme, che lui stesso aveva appiccato con una bombola a gas, l’avessero raggiunta e che lei non riuscisse a scappare. E’ un particolare macabro quello che emerge, a tre giorni dal terribile omicidio di Lamiae Chriqi, 28 anni marocchina, prima picchiata e poi bruciata in casa da Afzal Hussain, 29 anni, il pakistano richiedente asilo, ospite della comunità Arké, diventato da alcuni mesi un amico di famiglia. Un particolare, questo, che sarebbe stato riportato da una vicina di casa di Lamiae e di suo marito Jamal.

«L’hanno visto accucciato sul retro, davanti alla finestrella del bagno dove l’aveva rinchiusa – raccontano marito e moglie nella piazza di Sammommè – L’ha spiata mentre moriva. Voleva essere sicuro che non si salvasse. Quando ha capito che la situazione si metteva male, è scappato, per poi ricomparire facendo finta di prestare aiuto, insieme agli altri profughi dell’albergo Arcobaleno». Trenta centimetri. Queste le dimensioni della finestra del bagno sul retro, dove Lamiae non ha avuto scampo, ed è morta tra atroci sofferenze.

La gente in paese è sotto choc, anche perché quella donna la conoscevano. Entrava nelle loro case come domestica, e per alcuni era diventata una presenza insostituibile. «Sono andata ieri ad avvisare l’anziana che accudiva da due anni – racconta una signora – E’ sconvolta come se le fosse morta una figlia». Davanti all’albergo Arcobaleno, si vede ogni tanto una macchina della polizia. «Si tratta di una sorveglianza che ha uno scopo preventivo – chiarisce Massimo Civilini, presidente della cooperativa Arké, che si occupa degli immigrati – per fermare, io credo, eventuali manifestazioni di soggetti che possono venire da fuori. In paese la gente è tranquilla perché ha avuto modo di conoscere da un anno gli ospiti della comunità, una cinquantina circa, molti dei quali sono stati i primi a prestare soccorso al momento dell’incendio, mettendo a repentaglio la loro incolumità. In questi giorni, abbiamo pensato di invitarli ad uscire di meno, per non esporli a inutili rischi, anche se, ripeto, non è la gente del paese che temiamo». Fuori dall’albergo Arcobaleno non si sentono rumori. «Prima li vedevamo giocare a cricket nel campetto davanti, che ora curano loro», dicono i residenti. Ieri, però, nessuno ci ha messo piede.

IL RITRATTO. Come era Lamiae Chriqi? Era bella. Sorridente e bella. A tre giorni dal terribile omicidio, l’aria che si respira a Sammommè è surreale, come se il tempo si fosse fermato. In un paesino di poco più di cento anime, l’eco di un fatto come un omicidio si dilata inevitabilmente e resta impresso nell’umore che condiziona tutta la comunità. Davanti alla chiesa, in piazza e nel bar alimentari «Il Gufo», centro di ritrovo per tutti, non serve fare domande, perché non si parla d’altro. Ma, soprattutto, quello che si scopre è che, nonostante le differenze culturali e di vita, la presenza di Lamiae Chriqi, barbaramente uccisa, picchiata e bruciata in casa, a soli 28 anni, da quello che agli occhi di tutti era un amico di famiglia, non è affatto passata inosservata. Nessuno la considerava semplicemente una straniera venuta a vivere sei anni fa in paese, perché lei aveva molti amici, le famiglie per cui lavorava come domestica e dalle quali spesso, di pomeriggio, si intratteneva. «C’è un’anziana, mia vicina di casa – spiega una signora in piazza – di cui Lamiae si prendeva cura ormai da due anni come badante. A volte, quando andavo a trovarla, la guardavo mentre lei si cambiava prima di iniziare a fare i lavori domestici. La vedevo senza velo e le dicevo: ‘sei bellissima’. Lei sorrideva contenta. Sorrideva a tutti e parlava con tutti».

Tutti in paese conoscevano anche il marito di Lamiae, Jamal, anche lui marocchino, 50 anni, lo chiamavano quando dovevano disfarsi del ferro vecchio, che lui recuperava e vendeva. E tutti erano a conoscenza del legame di amicizia che da diversi mesi si era instaurato tra i coniugi e Afzal Hussain, 29 anni, pakistano richiedente asilo, arrivato un anno fa a Sammommé nel centro gestito dalla cooperativa Arké, all’hotel Arcobaleno, l’uomo che venerdì notte, davanti agli agenti della squadra mobile, ha confessato il terribile omicidio. «Lamiae e Jamal avevano accolto quell’uomo in casa come fosse un loro fratello e lui li ha traditi – commenta la gente in piazza – Marito e moglie non lo lasciavano mai solo. Lamiae se lo portava a fare le commissioni: praticamente dove era lei era anche lui, che la seguiva e la aiutava in tutto. Il marito poi gli dava qualche lavoretto, di quelli più pesanti. Ed ecco come li ha ripagati». «Non potrò mai dimenticare – racconta un vicino di casa – le urla strazianti del marito davanti a quella parete di fumo che aveva coperto la sua casa: chiamava la moglie, l’ha chiamata tante volte prima di rassegnarsi».