CRONACA DALLE VACANZE / "Io, pistoiese innamorato di Riccione": il fotografo Roberto Zampini racconta sessant’anni di riviera romagnola

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Sopra Roberto Zampini in foto degli anni ’50 con la compagnia degli amici romagnoli (FotoCastellani)

Sopra Roberto Zampini in foto degli anni ’50 con la compagnia degli amici romagnoli (FotoCastellani)

Pistoia, 27 agosto 2014 - «MINA, Rita Pavone, tutti o quasi i cantanti del tempo. E oggi, tanto per fare un paio di esempi di quest’anno Sgarbi, De Piscopo... Perché si può dire quel che si vuole, ma Riccione è sempre Riccione». Fra gli alberghi a quattro stelle e viale Ceccarini, per Roberto Zampini, il clima felliniano che avvolge di un fascino inconfondibile la capitale delle vacanze romagnole non è mai venuto meno. Di quella città il fotografo e fondatore del negozio d’ottica «Fotorama» di via Atto Vannucci conosce ogni strada, ogni stazione balneare, e giura che la crisi che ha messo a terra più di un luogo di villeggiatura, da quelle parti non ha intaccato il piacere della socialità. «Un mio amico di là lo ripete sempre: se Riccione muore, sarà l’ultima a farlo», cita appena rientrato dalle vacanze di quest’anno, purtroppo per lui più brevi del solito.

ZAMPINI parla a buon diritto. Per un soffio non diventava romagnolo pure lui. Se non lo è per l’anagrafe, si sente comunque d’adozione. A 71 anni non ha mancato nemmeno un appuntamento con le ferie sulla riviera da quando, di estati, ne aveva viste 5 o 6 al massimo. «Le prime volte — racconta — andavo a Riccione con mia mamma a trovare suo fratello che, dopo aver chiuso il suo negozio di Pistoia nei pressi del cinema Lux, si trasferì nel ’43 per continuare fare il fotografo. Erano i tempi di Mussolini che passeggiava sulla spiaggia... Mio zio, Mario Fantacci, ci ospitava molto volentieri e io — continua — ero il suo nipote prediletto. Lui aveva il negozio di fotografia dentro il Grand Hotel, proprio quello che si vede nei film di Fellini». Oggi quell’albergo è chiuso, ma Zampini garantisce che non è certo il simbolo di un declino. Tutto o quasi, per lui, è rimasto come uguale ai tempi in cui, adolescente, cominciò a trasferirsi a Riccione per tutta la durata dell’estate. «Frequentavo il Pacinotti e chiusa la scuola, mi fiondavo al mare. Fu proprio grazie a mio zio, che mi veniva a prendere con la sua Giardinetta, che mi appassionai al mio lavoro di oggi». Con i suoi scatti sulla spiaggia e in locali come il «Florida» e il «Savioli», Zampini è stato un testimone privilegiato del passaggio degli anni e dei cambiamenti di un intero Paese, dal boom economico ai giorni nostri. «Il primo vestito me lo comprò mio zio per entrare al Savioli, locale elegantissimo, frequentato da tutti i vip, che il giorno stavano in spiaggia. Ho conosciuto tanta gente in posti come la pizzeria Diana e l’hotel Roma». Fra loro i più numerosi venivano dalla Germania. «Allora più che l’inglese bisognava sapere il tedesco», anche perché le bionde del Nord Europa erano le preferite fra i «vitelloni» locali. «Andavamo a donne sulla spiaggia, specialmente a cercare le tedesche, e passavamo là tutta la notte. Così — continua a raccontare con occhio vispo Zampini — il giorno avevo un sonno da morire. Arrivavo in camera oscura e quasi mi addormentavo, tanto che per svegliarmi mio zio ogni tanto mi tirava qualche paccone», rammenta sorridendo.

L’ETÀ del colore non tardò ad arrivare. Lo zio Mario morì e Roberto, che quasi pensava di trasferirsi, decise una volta per tutte di lavorare dov’era nato. «Ma da allora — spiega — non ho mai mancato un appuntamento. Quindici o venti giorni a Riccione li faccio ogni anno sempre al bagno Agostino, vicino al ristorante da Carlo. Naturalmente ci ho sempre portato anche i miei figli. E’ rimasto tutto o quasi come l’ho sempre visto. Prezzi più bassi che in Versilia, persone allegre e gentili, cibo eccellente, spaghettate in compagnia, strade affollate... Riccione è sempre così».

s.t.