Marmo, guerra senza quartiere. Raffica di ricorsi degli industriali contro il Comune di Carrara

Le aziende impugnano la delibera sulle tariffe

Cava di marmo

Cava di marmo

Carrara, 26 luglio 2014 - UNA PIOGGIA di ricorsi al Tar contro il Comune da parte delle imprese del marmo che non avevano aderito agli accordi del 2008. Il tribunale amministrativo è stato invaso da una lunga serie di atti proposti da una ventina di aziende di escavazione, Assindustria in testa, che si sono rivolte ai legali per impugnare le ultime novità del Comune in materia di marmo e tassazione. In particolare si chiede al tribunale amministrativo toscano l’annullamento della delibera di giunta del marzo scorso in cui il Comune intende mettere regole e tariffe a coloro che non firmarono gli ultimi accodi del 2008. Si contesta che le tariffe cava per cava siano imposte dal Comune in maniera unilaterale e «il provvedimento finalizzato ad adottare tutti gli atti necessari per la determinazione del canone di concessione e del contributo regionale» nonché le verifiche che il Comune intende avviare per gli arretrati in base agli accordi scaduti del 2003. 

In sostanza un altro pasticciaccio in materia di tassa marmi che si abbatte come una nuova tegola su piazza Due Giugno e che vede imprese e Comune in posizioni diametralmente opposte. Non si vede la parola fine a un contenzioso che va avanti da anni sulla pelle dei cittadini che, per i mancati introiti di palazzo civico, sono poi costretti a pagare di tasca propria i vari balzelli del municipio. 

L’argomento marmo e nuove regole è una delle priorità di entrambi i mandati del sindaco Angelo Zubbani che fra concertazioni caratterizzate da numerosi stop and go,nuove leggi e impostazioni rivoluzionarie come quella dell’eliminazione dei beni estimati, ha creato uno tsunami al monte il cui bandolo della matassa è difficilmente rintracciabile. Il nodo della questione è da ricercare negli accordi stipulati fra Comune e imprese dopo l’abolizione della tassa marmi dichiarata illegittima dalla Corte di Giustizia europea. 

Da qui il Comune è ricorso a nuovi accordi (2003, 2004, 2008 e 2009) in cui si riconoscevano, quali oneri del settore, il contributo regionale e il canone di concessione. Tuttavia, è storia, non tutte le imprese accolsero le nuove tariffe imposte dal Comune, ma da palazzo venne comunque applicato lo stesso regime impositivo previsto dagli accordi. Nei ricorsi si contesta anche il valore medio del marmo stabilito dagli uffici di palazzo per ogni cava, per l’applicazione del canone di concessione. Le società ricorrenti — si legge nel documento legale — contestano il metodo e il merito del procedimento» ritenuto troppo frettoloso e non congruo con il reale valore del marmo escavato. 

Fra i punti dolenti delle delibere impugnate anche la decisione di far salire l’aliquota dal 5 per cento all’8 per il canone di concessione, «nella misura massima consentita dal regolamento». I ricorrenti sostengono pertanto la violazione e la falsa applicazione del principio di partecipazione e del giusto procedimento, il travisamento della realtà e la contradditorietà, oltre alla carenza della motivazione. In sostanza — si legge nel ricorso — si accusa il Comune di eccesso di potere, contradditoriertà , irrazionalità e violazione del principio di proporzionalità e di parità di tartatmento.

IN PARTICOLARE si fa riferimento al passo della delibera in cui si da una lato «il Comune afferma che gli accordi del 2003, 4 non sono validi ed efficaci perché non hanno ricevuto formale adesione di ogni singola impresa, dall’altro ritiene che quelli del 2008 non possano essere validi per tutti avendo ricevuto adesione soltanto di alcune aziende. Nel 2008 aderirono soltanto 24 imprese, mentre l’anno successivo si ridussero a 11. Insomma quanti non firmarono non intendono dover sottostare alle tariffe previste dagli accordi firmati da altri.

Cristina Lorenzi