Il mistero del carro funebre di Pascoli

In legno nero laccato, istoriato di borchie e putti dorati. Dopo il 1912 riapparve solo nel dopoguerra. Poi è scomparso

Il funerale di Giovanni Pascoli

Il funerale di Giovanni Pascoli

Lucca, 21 giugno 2017 - Anni fa Gualtiero Pia, scrittore emerito di Barga, mi inviò un paio di pagine dattiloscritte che rievocavano sue memorie del mondo pascoliano. Ma quei fogli mi andarono perduti. Ritrovatili, non mi resta che potarli a conoscenza del pubblico, come lui mi aveva chiesto. Protagonisti del racconto, più che Pascoli e Puccini sono due oggetti: il calesse del poeta e il carro funebre che, dalla stazione di Ponte all’ Ania, ne trasportò il feretro a Barga, e che sembra sia andato perduto alla “Croce Verde” di Lucca.

Ma procediamo con ordine. Il calesse e il cavallo, coi quali il poeta e la sorella Mariù andavano a far visita agli amici barghigiani, era di proprietà di Lorenzaccio, un contadino della zona, che faceva loro anche da vetturino. Non di rado Pascoli, da solo, si faceva portare alla locanda de Il platano, in Campia, da «compare Lemetti», dove si intratteneva a bere qualche bicchiere e a fumare il sigaro Toscano, di cui fu gran cultore. Gualtiero Pia osserva che in nessuna biografia del Poeta, a cominciare da quella poderosa della sorella Mariù, e quella più recente di Gian Luigi Ruggio, conservatore della casa di Castelvecchio, si parla di quel legno, che Pascoli un giorno cercò di sostituire con l’acquisto di una bicicletta nuova fiammante, subito distrutta per la sprovvedutezza del giovane figlio del contadino a cui l’aveva affidata.

Il carro funebre di legno nero laccato, e istoriato di borchie e puttini dorati, era oltremodo elegante, così il cavallo, per l’occasione bardato a lutto e condotto a cassetta da un certo “Pietro del Ciapo” in frac di rito e tuba. Testimonianze che Pia dice di aver raccolto da due testimoni oculari, amici del padre: Giannino Giannini e Amleto Ferrari. Quel 9 di aprile 1912 (Pascoli era deceduto a Bologna il 6) era una giornata di pioggia e vento, che il carro funebre e il fiaccheraio dovettero sfidare fino al cimitero di Barga, dove il feretro fu deposto in un loculo dei forni sotterranei. Ancora ne esiste la lastra di marmo con un’ iscrizione che ricorda l’evento.

Da lì, il 6 ottobre dello stesso anno, col medesimo carro funebre ancora condotto da «Pietro del Ciapo», fu trasferito nella Cappella sul Colle di Caprona, nel sarcofago marmoreo del Bistolfi, sotto una suggestiva tempera di Adolfo Balduini, autore altresì di opere scultoree che adornano la cappella di famiglia, dove riposa anche la sorella Mariù. Al trasporto presero parte personalità della politica e dell’arte; fra cui, gli occhi lucidi, Giacomo Puccini, il quale confidò ai presenti il rammarico di non essere stato più spesso a contatto col poeta, come lui “orso” e “solitario”. L’aveva visitato alcune volte nella bicocca sul Colle di Caprona dove, per avere maggiore ispirazione, avrebbe voluto abitare pure lui. Cose che Gualtiero dice di aver appreso dalla viva voce di suo padre, come il Poeta e la sorella, confratello della Misericordia di Barga. Suo padre nel 1912 aveva 27 anni e il Pascoli l’aveva incontrato in varie occasioni. Di mestiere falegname, anni dopo il funerale di Pascoli, in cambio di lavori eseguiti per un certo Felice Goti, ebanista, ebbe quel carro funebre ormai fuori servizio e che tenne in deposito in un ampio fondo di via del Pretorio.

Nel  1946 il professor Loris Biagioni, insegnante di latino presso l’Istituto magistrale Pascoli di Barga, governatore della Arciconfraternita di Castelnuovo, poi eletto per più legislature al Parlamento come deputato, da Pia informato dell’esistenza di qual carro, sul quale una targhetta d’ottone recava la scritta «Con questo carro funebre fu portato all’ultima dimora il Poeta Giovanni Pascoli», chiese a suo padre se glielo avesse ceduto. Suo padre acconsentì e il carro fu trasportato a Castelnuovo Garfagnana e da lì, in seguito, alla «Croce Verde» di Lucca per essere inserito in una mostra di tali reperti. Ma di quel carro funebre, lamentava Gualtiero Pia, non si è più parlato né saputo che fine abbia fatto. Forse - aggiungo io - sarebbe stato meglio fosse rimasto a Barga. Ma se ancora esiste, potrebbe essere recuperato.