Finanza e Dogane scoprono "frode carosello" da 60 milioni, operazione in tutta Italia

Ecco come funzionava il trucco scoperto dalle Fiamme Gialle

Un momento dell'operazione

Un momento dell'operazione

Livorno, 8 febbraio 2017 - L'hanno chiamata operazione Rambo, quella condotta dalla Guardia di finanza del Comando Provinciale di Livorno con il coordinamento del Comando Regionale Toscana da funzionari dell’Agenzia delle Dogane labronica. Martedì hanno eseguito quindici perquisizioni tra abitazioni, sedi societarie e uno studio di commercialista fra Toscana, Trentino Alto Adige, Campania ed Emilia Romagna in esecuzione dell’ordinanza emessa dal gip di Livorno Antonio Pirato di applicazione degli arresti domiciliari nei confronti di due imprenditori livornesi - fra i quali Maurizio Bianchi, presidente della Labronica Basket - e di obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria nei confronti di ulteriori due persone (sempre residenti a Livorno), per associazione a delinquere finalizzata alla commissione di una complessa frode fiscale.

L’autorità giudiziaria ha disposto inoltre su richiesta della Procura il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente per oltre 4 milioni di euro su conti correnti, denaro, autovetture e immobili nella disponibilità di sei imprese e di sette degli otto indagati, coinvolti a vario titolo e denunciati per reati tributari.

Gli illeciti ipotizzati a carico degli otto denunciati – tra cui il titolare di uno studio commercialista, non raggiunto da provvedimenti cautelari - vanno dall’emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, all’infedele e omessa presentazione delle dichiarazioni, fino all’occultamento di documentazione contabile; nei confronti di sette persone è stata anche contestata l’associazione per delinquere.

In pratica il trucco del "carosello" permetteva alle ditte coinvolte di acquistare a prezzi estremamente concorrenziali dei beni (soprattutto hi-tech) procurando un grande vantaggio grazie al trucco sull'Iva che l'associazione al centro dell'indagine metteva in pratica.

L'IPOTESI DI REATO - Le indagini, in particolare, hanno preso avvio da un controllo fiscale eseguito nei confronti di una ditta individuale che opera a Livorno nel settore della vendita di prodotti informatici e hanno fatto emergere l’esistenza di un’organizzazione finalizzata ad evadere il fisco riconducibile a Bianchi, destinatario, insieme al suo “braccio destro”, E.M., di custodia cautelare domiciliare.

Obbligo di presentarsi alla polizia giudiziaria, invece, a carico dei due formali rappresentanti legali delle società di comodo (di fatto amministrate da M.B.), tali F.B. e M.F., rei di aver sistematicamente emesso fatture per operazioni inesistenti a tre imprese delle province di Bolzano Avellino.

Le attività svolte dagli inquirenti, dirette dal Procuratore Ettore Squillace Greco e dai sostituti procuratori Arianna Ciavattini e Sabrina Carmazzi hanno consentito di individuare, all’interno dell'associazione, nove persone giuridiche (due ditte individuali e sette società), con un giro di fatture false, tra emesse ed utilizzate, pari a circa 60 milioni di euro. Le investigazioni, iniziate nel 2015, hanno permesso di ascrivere l’ipotesi fraudolenta al sistema del “carosello fiscale”, attuato tramite triangolazioni fra le società coinvolte al semplice scopo di evadere l’Iva, nel settore del commercio dei prodotti elettronici (quali telecamere, macchine fotografiche, cellulari, computer, navigatori satellitari, ecc.), destinati alla grande distribuzione nonché al commercio al dettaglio via web.

Gli imprenditori, infatti, hanno appositamente costituito ditte individuali e società “cartiere”, con sedi formali tra le province di Livorno, Pisa e Bologna, ma di fatto tutte gestite a Livorno. Le imprese, prive in realtà di struttura, acquistavano ingenti quantità di prodotti hi-tech direttamente dai fornitori comunitari (francesi e tedeschi); in realtà la merce non veniva consegnata alle ditte che avevano effettuato l’ordine, ma direttamente agli effettivi destinatari, beneficiari della frode, N.K. e P.C. di Bolzano e E.M., imprenditrice avellinese. Le "cartiere" quindi, venivano interposte, facendo da filtro, nelle transazioni commerciali tra i fornitori europei e le società operative campana ed altoatesina, effettuando gli acquisti comunitari di beni, che poi rivendevano sul territorio nazionale solo formalmente, perché la merce era già stata recapitata ai destinatari, accollandosi, conseguentemente un debito Iva che poi non versavano all’Erario.

Dal punto di vista documentale le operazioni erano contabilizzate così: le società di comodo ricevevano le fatture dai fornitori comunitari, senza applicazione dell’Iva (in virtù del meccanismo del cosiddetto reverse charge, applicato per le cessioni all’interno di Stati dell’Unione Europa, poi emettevano fattura, rivendendo il bene - questa volta con applicazione dell’Iva - a favore degli acquirenti effettivi, a un prezzo imponibile inferiore a quello praticato dai fornitori comunitari (dunque, sottocosto) contravvenendo a qualsivoglia logica di guadagno.

Con l’applicazione dell’Iva al 22% il prezzo complessivo della merce era di poco superiore a quello originario: quindi, i beneficiari ricevevano i prodotti a un prezzo unitario indebitamente (ed estremamente) concorrenziale, che consentiva loro di collocarsi in una posizione privilegiata sul mercato.

Per tutti i soggetti interposti, il meccanismo garantiva, invece, un elevato profitto, rappresentato dall’Iva non versata all’Erario, illecitamente ripartita tra il dominus della frode e gli amministratori (reali e di fatto) delle cartiere.

Le investigazioni hanno permesso di fare piena luce sul ruolo di primissimo piano svolto dal livornese considerato l'ideatore della frode, peraltro già noto alle Fiamme Gialle labroniche in quanto denunciato nel 2011 per l’emissione di fatture per operazioni inesistenti e omesso versamento di Iva.

Tutte le decisioni operative sulla gestione delle attività di acquisto e vendita delle diverse imprese venivano prese in una nota e frequentata palestra nel centro di Livorno, gestita sempre da M.B., dove secondo la Finanza era stato fissato il suo quartier generale e dove le Fiamme gialle e i funzionari doganali hanno sequestrato documentazione contabile ed extracontabile.

Nel corso delle indagini è anche emerso l'apporto, considerato "rilevante" dagli inquirenti, del commercialista “di fiducia” dell’imprenditore, titolare di uno studio commercialista a Pontedera. Contributo fondamentale, il suo, per ostacolare le attività di controllo: tenutario delle scritture contabili di tutte le imprese coinvolte e incaricato della registrazione delle fatture, il commercialista aveva fatto in modo di fissare presso il proprio studio la sede legale delle società e aveva presentato per loro dichiarazioni fiscali con importo pari a zero. In questo modo, le imprese non risultavano formalmente evasori totali sebbene non dichiarassero all’Erario né redditi né volume d’affari. Denunciato, a titolo di concorso, per i reati tributari contestati agli altri indagati, è stato oggetto di una perquisizione domiciliare e nel suo studio dove è stata sottoposta a sequestro tutta la documentazione relativa al ritenuto meccanismo fraudolento.

L’attività ha consentito anche di quantificare, per il momento, in oltre 4 milioni di euro il profitto illecito percepito dai membri dell’associazione a delinquere. Sotto sequestro preventivo finalizzato alla conquista beni di vario tipo: due immobili a Livorno del valore di circa 300mila euro, due auto (una Mercedes e una Volkswagen Tiguan) e liquidità.