Uccise carabiniere. Moglie della vittima e madre dell'assassino insieme: "Ho scelto di avvicinarmi a Matteo dopo l'ergastolo"

L'appuntato scelto Antonio Santarelli morì l’11 maggio del 2012 dopo un anno di coma / LE FOTO DELL'INCONTRO

Le due mamme

Le due mamme

Grosseto, 27 settembre 2014 - «PER PRIMA cosa ho voluto vedere le mani di Matteo. Toccarle. E mi sono chiesta come era possibile che mani così piccole, affusolate avessero potuto compiere un atto così tremendo». E’ un dei passaggi con cui Claudia Francardi, vedova dell’a ha raccontato il percorso che l’ha portata ad avvicinarsi a Matteo e alla madre. Le mani sono di Matteo Gorelli, 22 anni, che è l’assassino dell’appuntato Santarelli. «Sono Irene Sisi, la mamma di Matteo Gorelli», è stato, invece, l’incipit dell’intervento della madre del giovane che è stato condannato a venti anni di reclusione. Ieri pomeriggio, nel tendone delle conferenze della Festa di Santa Lucia, hanno presentato per la prima volta l’associazione «AmiCainoAbele», fondata insieme a don Enzo Capitani, che ha tra i suoi obiettivi diffondere l’importanza del perdono. SEDUTE a fianco, ciascuna con le proprie difficoltà. Con il proprio dolore, ma sorridenti in molti frangenti. Si sono spesso cercate, con gli sguardi e con le mani, quasi per farsi forza. Per spiegare al meglio che cosa ha portato la vedova di un carabiniere ucciso a condividere una percorso di vita a fianco della madre dell’assassino di suo marito. «Non sono pazza — ha sottolineato spesso Claudia durante il racconto del dolore — Non è stato così fin dall’inizio. Ho vissuto la rabbia, la depressione, la voglia di morire, la voglia in alcuni momenti di soffocare mio marito che giaceva come un vegetale su quel lettino. Non ce la facevo a vederlo così. Ma quando Antonio è morto, l’11 maggio 2012, ho capito che non volevo una vita di rabbia. Non volevo il volto trasformato dal dolore. E ho aperto il mio cuore». Poi l’avvicinamento a Irene e Matteo. «Irene mi ha scritto una lettera — ha proseguito Claudia — semplice, breve, per dirmi che mi chiedeva il perdono. In quel momento probabilmente non ero ancora pronta. Non è vero che si perdona subito, E’ un percorso complesso, difficile. Poi però quando l’ho abbracciata per la prima volta, ho capito che quella strada era stata imboccata». Irene la guarda, ha gli occhi rossi, quando ha preso la parola la voce è stata spesso mista alla voglia di piangere, ma ha trattenuto le lacrime. Si è fatta forza. «La giustizia ha fatto il suo corso — ha detto Irene — e Matteo si è preso le sue responsabilità, ha detto la verità, dando così la possibilità a Claudia di intraprendere il percorso del perdono. Lo spirito che ci guida in questa associazione è quello della compassione, della condivisione del dolore». Poi il racconto di come è ora suo figlio. «Matteo ha avuto a lungo timore dell’incontrare Claudia — ha aggiunto Irene — Lei era la rappresentazione della sua colpa. Ma gli è servito molto questo percorso. Si è sentito perdonato. Da qui è nata la sua voglia di diventare una persona migliore. Sta studiando scienze dell’educazione e vuole diventare un educatore dei carcerati. Vuole essere una persona migliore». ​ IL MOMENTO determinante. Quello che ha aperto il nuovo corso di avvicinamento all’omicida di suo marito, per Claudia, è arrivato il 7 dicembre 2012, quando Gorelli viene condannato all’ergastolo. «E’ stata come una deflagrazione dentro — ha cercato di spiegare — ho ricordi confusi del dopo. Di Matteo portato via che sorrideva. Ho pensato fosse impazzito. Di gente che si congratulava. Ma io ho pensato, invece, come fosse tremendo che nessuno, proprio nessuno volesse dare un’altra opportunità a una ragazzo così giovane. Da qui è iniziato il nuovo corso». Quella opportunità l’ha concessa Claudia a Matteo. Il primo incontro tra loro due c’è stato il 28 gennaio del 2013, poco più di un mese dopo la condanna all’ergastolo. E’ stato allora che le loro mani si sono incrociate. Da lì è cominciata la risalita.

di CRISTINA RUFINI