"Sparano su tutti sulla spiaggia. Siamo fuggiti in auto con la famiglia"

Alessandro Rabbiosi, fiorentino, nell’inferno in Costa d’Avorio

Alessandro Rabbiosi

Alessandro Rabbiosi

Firenze, 15 marzo 2016 - UN FIORENTINO nell’inferno della Costa d’Avorio. Alessandro Rabbiosi, 48 anni, sposato con Marta, prof di francese e funzionaria statale, una figlia di quasi 9 anni, è in Costa d’Avorio da tredici anni, dopo averne trascorsi quattro in Algeria. A Firenze torna spesso. Qui ha la sua famiglia, il babbo Alvaro, la mamma Grazia, il fratello Maurizio (la sorella invece non vive più a Firenze). Qui, a Firenze, Alessandro ha anche la sua grande passione di ragazzino, la Fiorentina. Torna anche per quella, per andare allo stadio a tifare i viola. «Ma ora non è il momento giusto per parlare di questo...», dice al telefono.

ALESSANDRO è in Costa d’Avorio anche per aiutare chi ha bisogno. I bambini soprattutto, come delegato per la Costa d’Avorio dell’organizzazione umanitaria «Terre des Hommes». Alessandro era in un ristorante di Grand Bassam quando è successo il finimondo. Grand Bassam è una cittadina sulla costa. «La mia città di adozione» dice al telefono 24 ore dopo il massacro che lo ha sfiorato.

«ERO in un ristorante con mia moglie, la bambina, alcuni amici – racconta – A circa 100-150 metri dal luogo della tragedia. Abbiamo visto un po’ di gente che si assembrava davanti alla spiaggetta. La moglie del titolare del ristorante mi ha chiamato, ha detto Andro – è così che mi chiamano qui – cosa è successo? Pare che sparino nell’albergo vicino. All’inizio abbiamo pensato a una rapina, degenerata. Poi invece la moglie del titolare ci dice che l’ha chiamata una sua cliente, da là, e dice che sparano su tutti, sulla gente al mare, in spiaggia...». Attimi di paura. Un’ombra che ritorna. Un attacco dei terroristi. Un’altra strage. Come quelle a Parigi, a Sousse in Tunisia, a Barnako in Mali, a Ouagadougou capitale del Burkina Faso. Anche l’Africa insanguinata dai jihadisti.

SPARANO SU TUTTI. La frase risuona nella mente, scatena il panico. «Nel sentire quelle parole subito pensi che possano andare a cercare ristorante per ristorante. Allora ho detto via, la moglie, la bambina, gli amici. Andiamo in macchina. Per fortuna conosco bene Grand Bassam e non ho fatto la strada che costeggia il mare ma sono passato da strade interne. Ho visto gente che scappava, che piangeva, ho visto l’assembramento, il caos».

UNA PAUSA. Ora c’è paura a uscire di casa? «Ora è chiaro – prosegue Alessandro – c’è la psicosi. Ma io, da quanto ho saputo, non credo volessero colpire gli occidentali. Lì hanno sparato anche a gente che vendeva le magliettee sulla spiaggia, come fanno anche tanti di quei bambini che noi cerchiamo di aiutare. Non sono andati per per colpire il simbolo del bianco ricco... Bassam è un posto popolare, ci vanno tutti, anche gente dei quartieri poverissimi. Se avessero cercato obiettivi occidentali sarebbero andati altrove. Il problema è che vogliono colpire la normalità. No, qui non ci sono altri fiorentini. In zone vicine qualcuno credo di sì. Qui siamo 7-8 italiani residenti. Ci sono investitori stranieri, europei».

LA TENSIONE si scioglie. C’è spazio per parlare di Firenze. E della Fiorentina. «Sono qui da 13 anni ma sono ancora socio del viola club Vieusseux. E’ un piacere sentire al telefono La Nazione. Io sono di Firenze. Quando è successo il massacro messaggiavo con WhatsApp dopo il gol di Zarate, poi hanno pareggiato... Salutatemi la curva Fiesole. Sono ancora abbonato, dal 1978. L’ultima volta che sono tornato a Firenze? A febbraio. Ho visto le partite con l’Inter e il Tottenham».

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