Rigopiano, il vigile del fuoco: "Salvando quel bambino sono diventato di nuovo padre"

Riccardo Leoncini, del comando fiorentino, è stato fra i soccorritori che hanno estratto i primi superstiti dalle macerie

Gianfilippo, il bambino salvato dai vigili del fuoco all'hotel Rigopiano

Gianfilippo, il bambino salvato dai vigili del fuoco all'hotel Rigopiano

Tavarnelle (Firenze), 25 gennaio 2017 - “Sono forte|”. Queste le parole che Gianfilippo, il primo dei bambini salvati sotto le macerie dell'hotel Rigopiano, ha detto con voce forte e chiara ai soccorritori non appena li ha visti. Lo racconta Riccardo Leoncini, che fa parte dei Vigili del Fuoco in forza al team Usar Toscana, composto da personale del Comando di Firenze e del Comando di Pisa, addestrato alla ricerca e soccorso sottomaceria. “Svolgiamo mansioni di penetrazione nei crolli di edifici – spiega - nelle prime ore degli eventi, per la ricerca e il recupero di persone in vita, come è appunto accaduto a Rigopiano”.

Riccardo e il suo gruppo sono stati fra i primi a partire alla volta del comune di Farindola dove, il 18 gennaio scorso, si è consumata la tragedia. “Siamo stati allertati subito, il mercoledì, dalla direzione generale, - racconta – e siamo giunti la mattina presto a Pescara dove il primo gruppo è stato trasportato con l'elicottero sul luogo dell'evento, all'hotel Rigopiano. Io sono andato in un secondo gruppo. Sono quindi iniziate le ricerche che, con turni di 6/8 ore, si svolgono giorno e notte senza sosta e che, durante il primo giorno, non hanno dato alcun esito. La mattina seguente, invece, insieme al collega di Pisa, Riganò e al caporeparto di Torino, Cavallo, grazie all'utilizzo di geofoni utilizzati per la ricerca in valanga, siamo riusciti a percepire un rumore. A quel punto abbiamo provato a chiamare le persone e abbiamo sentito una flebile voce di donna provenire da sotto le macerie. Era la signora Adriana che è stata molto collaborativa: ci ha detto di trovarsi stesa su un divano insieme al figlio Gianfilippo e di essere in contatto vocale sia con gli altri superstiti, sia con la figlia che si trovava nella stanza attigua insieme ad altri due bimbi ma che, ci ha detto, non sentiva più da ore. Ci siamo quindi addentrati all'interno del sottotetto, uno spazio vitale di appena 70 centimetri di altezza, e abbiamo cominciato a lavorare per tirare fuori prima il bambino, Gianfilippo, che ho tenuto fra le braccia, e poi la mamma”.

Grande l'emozione ma anche la determinazione e la forza di voler fare il possibile per salvare altre vite. “Gli stati d'animo – dice ancora il Vigile del Fuoco - vanno dalla desolazione all'euforia quando trovi una persona viva; una sensazione che ti gratifica così tanto da permetterti di andare avanti. Nel mio caso, dopo che per un giorno e mezzo c'era stato il niente, la cosa che più mi ha colpito sono stati gli occhi sbarrati di Gianfilippo; due occhi che sembravano quasi aprirsi per la prima volta alla vita, come accade in una nascita. E la mia sensazione è stata proprio quella diventare di nuovo babbo. Bellissimo quando abbiamo cercato di spronarlo a parlare e lui ci ha detto con emozione e vigore al contempo “sono forte!””.

Anche del salvataggio degli altri tre bambini, Riccardo ha un aneddoto da raccontare. “Nella stanza dove i colleghi di Roma hanno estratto i bambini – afferma – io sono entrato successivamente e ho visto un presepe, intatto, allestito lungo una parete di quattro metri. Non sono un bacchettone però mi piace pensare che “qualcuno” abbia voluto salvare quei bimbi”.

Uno scenario, quello di Rigopiano che Riccardo definisce “diverso dalla consueta ricerca, perché il crollo è avvenuto sotto due metri e mezzo di neve, cosa che rende più problematiche le attività, anche quelle con il prezioso ausilio dei cani”.

Adesso che lui e la sua squadra, dopo cinque giorni di lavoro, sono tornati a casa, la speranza nutrita è che, nel cuore dell'hotel, ci sia ancora qualche spazio dove le persone abbiano potuto trovare rifugio. E, per quanto fatto fino ad oggi, Riccardo non vuole meriti individuali e non si sente affatto un eroe. “Il nostro – conclude – è un lavoro di squadra in cui non si vince con un giocatore solo ma perché ciascuno ha fatto la propria parte. Non siamo eroi ma persone che fanno un lavoro che implica un amore e una dedizione particolare. Quanto sei chiamato in queste attività parti senza pensarci e quando sei sul posto il desiderio di aiutare le persone prevale su tutto. Ma questo, per noi, è pane quotidiano. Tutti i giorni facciamo interventi più o meno difficili in scenari sempre diversi”.  

 

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