Piero Niccolini, clown in ospedale: "Il nostro sorriso per gli ammalati"

Un desiderio atavico “di donarsi” e la voglia di diventare un Clown Care, in seguito al ricovero in ospedale del nipote

Piero Niccolini (pantaloni verdi) con i colleghi "Clown Care"

Piero Niccolini (pantaloni verdi) con i colleghi "Clown Care"

Firenze, 21 novembre 2017 - Da sette anni Piero Niccolini, che ha 58 anni è sposato ma non ha figli e nella vita lavora come impiegato, due volte al mese indossa il camice bianco, un cappello colorato e il naso rosso e si trasforma nel...dottor Spadino. Piero non è semplicemente uno dei tanti clown che collabora con l'associazione Clown Care M'Illumino d'Immenso, ma è un uomo che sette anni fa, grazie a un preciso evento scatenante di cui è stato protagonista, ha deciso di dedicarsi, “di prendersi cura - come tiene a sottolineare - di chi soffre”. E lo fa collaborando con l'associazione nella quale è entrato a far parte e che esercita all'Ospedale di Santa Maria Annunziata a Ponte a Niccheri. “Per me fare il clown per volontariato è una visione e uno stile di vita, è la mia vita – esordisce -. Mi sento clown 24 ore su 24, anche quando ho indosso altri panni, anche quando mi sto dedicando ad altre attività nel mio quotidiano. Mi spiego meglio. “Care”, che è una parola inglese che significa letteralmente “prendersi cura”, implica una predisposizione e una volontà di dedicarsi al prossimo, prestando attenzione a quelli che possono essere i suoi problemi e i suoi bisogni”. E il modo più efficace per porre attenzione alle persone, secondo Piero, risiede in un'azione semplice ma sempre più desueta: "L'ascolto". L'associazione di cui Piero Niccolini fa parte, opera nei reparti di psichiatria, dialisi e nella sala dei prelievi. “Cerco di dare il mio apporto a chi sta male o a chi deve affrontare un prelievo – spiega. E in questo “dare” in realtà ricevo indietro tanto: una parola o un sorriso, strappati a chi si trova in uno stato di soffrenza, mi danno una spinta propulsiva per continuare, una gioia e un senso di realizzazione e appagamento, che difficilmente si avverte in altre situazioni”. Occuparsi delle persone accolte in ospedale, si traduce poi anche nella cura dell'edificio stesso... “Certamente. Infatti abbiamo dato vita al giardino di Indra, davanti all'ingresso del Pronto Soccorso, nel quale ognuno, in segno di vicinanza e affetto verso un familiare o un amico, che si trova in attesa di ricevere le cure necessarie, può interrare una pianta”. E la giornata di un Clown Care inizia alla mattina, di buon'ora “Il primo luogo dove mi reco è la sala prelievi, dove le persone sono in attesa delle volte anche per un tempo prolungato. Il mio compito? Far ridere, intrattenre, ascoltare, non esiste un modo di agire preconfezionato; tutto dipende dalla persona che hai davanti e dalle sue necessità. Sta alla tua sensibilità capirlo e comportarti di conseguenza”. Certo, non sempre è tutto così scontato... “Frequentando i reparti ospedalieri, è facile imbattersi in qualcuno che non ha affatto voglia ne' di ridere, ne' di parlare. Una persona alla quale leggi negli occhi la sofferenza. In questi casi è difficile non portare a casa un senso di vuoto e di tristezza, soprattutto la paura di non aver dato il massimo. Ma in realtà è un pensiero che svanisce presto, spazzato via dalla consapevolezza di aver cercato di fare tutto il possibile per alleviare un dolore, regalando il tuo tempo e il tuo affetto con la massima sincerità”. E' importante entrare in empatia con le persone? “E' fondamentale. Quando si è nei reparti bisogna cercare di capire cosa vuole la persona che si ha davanti. C'è infatti chi, vedendoci in queste vesti goliardiche, ha subito voglia di scherzare ma anche chi vuol soltanto sentire la vicinanza di qualcuno. Il mio ricordo in tal senso vola verso un episodio vissuto con una signora anziana che stava facendo la dialisi e che urlava, forse per la paura. Io mi sono messo accanto a lei e le ho tenuto la mano, per più di mezz'ora, senza dire una parola. Questo semplice gesto l'ha fatta calmare e addirittura addormentare. Un contatto umano che magari non riceveva da anni. Sono queste le piccole immense gioie della mia attività”. Ha detto che ha iniziato a fare il volontario da sette anni, quindi all'età di 51 anni. Come si è accesa questa miccia? “Sette anni fa, appunto, quando andai a trovare mio nipote, che all'epoca aveva 5 anni, ricoverato all'ospedale Meyer di Firenze. C'erano anche altri bambini accanto a lui, tutti piuttosto tristi. A un certo punto nella stanza entrarono dei clown e “magicamente” tutti si illuminarono, come se la malattia in quel momento non fosse mai esistita. In quel preciso istante sentii il desiderio di unirmi a quei clown, quegli uomini e quelle donne mascherati. Sapevo che un mio vecchio amico, che è poi il fondatore di Clown Care M'Illumino d'Immenso, Federico Magherini, (conosciuto come “Dottor Nuvola”), faceva questa attività. Lo chiamai e lui mi invitò subito a mettermi il camice e provare. E da allora...questa è la mia vita”. Addirittura! Eppure lei ha una moglie, un lavoro... “Secondo me, quando ci si avvicina al volontariato, non si può più smettere. E' quasi una droga buona che pervade il cuore e la mente. Ogni volontario ha indubbiamente la propria personalità: ma il cuore e la voglia di donarlo agli altri, è la caratteristica che ci accomuna. D'altro canto sono fermamente convinto che se vogliamo riportare nel mondo, un po' di cultura dell'altruismo, ognuno deve partire da se' stesso per poi allargare e propagare, come un'onda elettromagnetica, l'amore dato e ricevuto. Nella nostra associazione ci sono anche tanti giovani, ragazzi dai 22 ai 25 anni; è bello vedere che, al di là dei luoghi comuni, il piacere di donare e di donarsi, non ha davvero età. C'è qualcosa che le è stato detto mentre svolgeva la sua attività e che non dimenticherà mai? “Sono le parole pronunciate da un signore che stava così male, da far fatica a parlare. Mi guardò e mi disse: 'Grazie di essere qui'. E' in questa frase che è racchiuso tutto il senso del fare volontariato".

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