Il ministro Jeeg Robot

Il commento

Firenze, 27 marzo 2017 - Sarà anche vero che l’abito non fa il monaco. Ma in certi casi, di sicuro, la faccia fa il ministro. E nel caso di Marco Minniti, non è solo la faccia, ma anche altre parti del corpo pudicamente nascoste. Del resto, ha sempre goduto di una stima diffusa, oltre che per la faccia e le parti di cui sopra, per una carriera rigorosa e onorata. Ma da sabato scorso, e fino a prova contraria, il ministro degli Interni è il nostro eroe, il Jeeg Robot d’acciaio che ha trasformato un giorno di allarme rosso in una festa di paese. Non era mai successo che un ritrovo di tanti capi e capetti di Stato non fosse accompagnato da lanci di molotov, vetrine sfasciate e poliziotti presi a sassate, salvo poi passare per repressori. Invece, niente. A Roma tutto ha funzionato talmente a dovere che ora siamo qui a meravigliarci e a plaudire per ciò che dovrebbe essere normale. Ma normale non è.

Un’impresa resa possibile dal fatto di considerare la sicurezza dei cittadini un bene primario, nel senso compiuto della parola. Il che significa fermare i facinorosi prima che esibiscano il loro repertorio, bloccare prima i pullman sospetti, togliere prima i passamontagna, rovistare prima negli zaini. Vuoi manifestare? Ci vai pulito come uno scolaretto. Controllo, prevenzione. Così si fa, e si è fatto ad ogni epoca e sotto ogni cielo. Si prendono i sospetti, e si mettono in grado di non nuocere. Prima. Lo faceva il regime per difendere Mussolini. Lo fanno le democrazie per Hollande o la Merkel.

Allora, complimenti. Ieri ha pure rispedito in Marocco un facinoroso che ci considerava un Paese di miscredenti. Preso e portato al suo Paese di credenti. Bravo, facciamone dei charter di questo tipo di fedeli. Lei, con quella faccia, può fare ciò che vuole: soprattutto il ministro degli Interni.