A cosa serve fare teatro? All’Omnicomprensivo Marcelli un tentativo di risposta

Procede con entusiasmo il laboratorio di teatro interclasse che sta coinvolgendo gli alunni dell’Istituto Professionale di Foiano

foiano

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Arezzo, 23 febbraio 2018 - Procede con entusiasmo il laboratorio di teatro interclasse che sta coinvolgendo gli alunni dell’Istituto Professionale (indirizzo commerciale) e dell’Istituto Tecnico Economico entrambi ricompresi nell’Istituto Omnicomprensivo “G. Marcelli” di Foiano della Chiana. Curatrice del percorso Enrica Zampetti per Officine della Cultura, coadiuvata da Gianni Micheli, attrice e danzatrice dalla ricca esperienza tra Italia, Spagna e Finlandia, con collaborazioni con nomi quali Virgilio Sieni, David Zambrano, German e Jorge Jauregui Allue, Francesca della Monica, Jeffrey Crokett, Chiara Guidi, Susan Main, Alessandro Fabrizi, Tiina Siirya, Sainkho Namtchylak, Manfredi Rutelli, Ascanio Celestini, Marco Baliani, Lindsay Kemp, Fabrizio Pallara, Stefano de Luca, Rosa Masciopinto, Francis Pardeilhan e un’esperienza continuativa dal 2009 a fianco della compagnia Zaches Teatro di Scandicci.

A poco più di un mese dall’inizio del percorso, che avrà termine a fine maggio in due eventi distinti presso il Teatro Verdi di Monte San Savino e presso il Teatro Pietro Aretino di Arezzo in occasione della rassegna “Messaggi”, Enrica ha scritto una lettera rivolta non solo ai suoi studenti ma a chiunque, dall’aula di una classe alla scrivania di un ufficio, in qualità di studente ma anche di genitore, si ponga la domanda “a cosa serve fare teatro?”. Questa è la sua risposta.

“Nell’era degli smartphone, dei tablet, dei social e dell’alternanza scuola-lavoro, insomma di un sistema che mira ad una comunicazione veloce, smart, immediata (ma comunque mediata) e che ha una finalità diretta e pratica… a cosa serve fare teatro? Imparare un testo, qualche azione fisica, la gestione di un palcoscenico, a che serve?

Difficile dare una risposta univoca, per ognuno ci sono motivazioni personali e diverse.

Ma posso affermare senza dubbio che fare un corso di teatro porta necessariamente a intraprendere un cambiamento personale.

Nello stare in scena si apprende a misurarsi con le proprie emozioni, con le proprie paure, con le proprie insicurezze e la propria ansia, ma anche con le proprie certezze, che talvolta vengono radicalmente messe in discussione.

Mettersi su un palco di fronte ad altre persone significa vestire i panni di qualcuno che non siamo noi e che eppure in qualche modo ci assomiglia e che parla attraverso di noi, attraverso il nostro corpo e la nostra voce e che ci rivela aspetti di noi stessi impensabili prima.

Significa apprendere ad ascoltare una voce diversa che dobbiamo raccontare attraverso la nostra voce e apprendere ad ascoltare la voce degli altri, con cui indissolubilmente costruiamo un dialogo e un confronto.

Significa imparare a mettere da parte quelle abitudini che ci identificano e ci fanno riconoscere negli occhi degli altri. Imparare modalità di muoversi e parlare che non ci appartengono o che non siamo abituati a fare o che non sapevamo fare prima.

Ma è in tutto questo cercare di essere diversi da quello che abitualmente siamo che scopriamo qualcosa di noi che non ci aspettavamo, che ci stupisce e in questo stupore, spesso adrenalinico, ci riconosciamo, riconosciamo potenzialità e capacità inattese che ci aiutano a crescere, ad affrontare quelle situazioni che nella vita ci mettono in difficoltà o in crisi.

È attraverso la crisi, a cui il teatro ci mette di fronte, che capiamo qualcosa in più di noi stessi e degli altri.