Lido di Camaiore (Lucca), 20 settembre 2024 – Al Park Hotel, sul viale Colombo, regna il silenzio. Non è ancora mezzogiorno, qualche tiepido raggio di sole è riuscito a forzare la coltre di nubi ed è sceso a riscaldare la frazione rivierasca. Nel parcheggio, un grosso bus aspetta solo di essere messo in moto. Il portellone è aperto: anche da lontano, si nota che borsoni e valigie sono già stati caricati a bordo. Un ragazzo alto e occhialuto e una ragazza con uno hijab viola passeggiano a pochi metri di distanza: entrambi hanno lo smartphone all’orecchio e parlano a voce bassa.
Per accedere all’hotel, bisogna risalire una lunga scalinata. Un passo dopo l’altro, fino al pugno nello stomaco: la veranda dell’hotel è occupata dalla scolaresca di cui facevano parte le due ragazze tedesche – Jasmine Bousnina, 18 anni ed Elis Donmez 17 – morte nello schianto di martedì sera. Tirati sui divanetti, stravaccati per terra, con la schiena appoggiata al muro, ci sono i compagni di scuola. Il silenzio è disumano e colpisce come una raffica di vento artico. È come se una cappa di dolore isolasse questi ragazzi appena 18enni dal resto del mondo. Non parla nessuno. La maggior parte ha lo sguardo fisso nel vuoto, in attesa degli eventi. Qualcuno indossa le cuffie per proteggersi ulteriormente dal mondo esterno. Quasi tutti hanno gli occhi lucidi e le occhiaie di chi non ha dormito.
Danno la sensazione di essere totalmente inermi, come se fossero stati svuotati di ogni energia, di quella baldanza giovanile che, con ogni probabilità, li ha accompagnati nel lungo viaggio da Duisburg (frequentano la Gesamtschule Duisburg-Mitte) alla Toscana. Anche solo a cercarne lo sguardo, si ha la sensazione di commettere una violenza. Un uomo alto, con la camicia a quadri e un’ombra di barba, quasi sicuramente un professore, mantiene una presenza discreta e distaccata. Quando proviamo ad avvicinarci e a cercare un dialogo, è lui a mettersi in mezzo. Scuote la testa, a far capire che non è proprio il momento di invadere il dolore di questi ragazzi. La notizia, nel frattempo, ha corso per l’Europa. Ieri mattina, sul luogo della tragedia, è arrivata anche un’emittente tedesca. “Anch’io sono padre e ho le lacrime agli occhi quando penso ai giovani, ai genitori, agli amici e ai parenti che ora sono preda di un’incredibile tristezza – il grido di dolore del sindaco di Duisburg Sören Link –; la terribile notizia mi sconvolge profondamente. Auguro allo studente ferito una rapida e completa guarigione”.
Nel frattempo, al Park Hotel i due autisti del bus stanno procedendo coi preparativi. Gli ultimi studenti scendono dai piani superiori, zaino in spalla e occhi bassi, e vanno ad aggregarsi al resto del gruppo che ieri è partito per tornare a casa: un viaggio di quasi 1.200 chilometri che si è concluso solo nella mattinata di stamani. E si può solo immaginare quanto interminabili possano essere state le ore trascorse nel dolore disumano per la morte delle due amiche. Intanto, a casa, la loro scuola ha allestito una sala lutto.
Sul luogo della tragedia, qualcuno ha avuto un pensiero dolce: all’angolo tra via Italica e via Roma, dove le due ragazze hanno perso la vita, sono stati deposti alcuni mazzi di fiori. Esemplari gialli e bianchi, adagiati contro il muretto, mentre il vento scuote i resti di un semaforo che non crolla solo grazie ai fili elettrici. Due signore stanno parlando della tragedia; una terza arriva e chiede informazioni. Parlottano per un po’, poi se ne va scuotendo la testa. Perché pure tra i residenti, il giorno dopo è tutt’altro che semplice. I più sono increduli, qualcuno ha paura, altri sono arrabbiati, come il ragazzo che passa in bicicletta e sbraita contro il capannello di curiosi creatosi a ridosso dell’incrocio col viale Colombo: “Bisognerebbe farvi pagare il biglietto...”. E in effetti, confermano i dipendenti e titolari delle attività della zona, fin dalla mattinata c’è stato un viavai di curiosi: arrivano, studiano la situazione, parlottano e se ne vanno. Dall’hotel Sirio esce una famiglia italiana: papà, mamma, due figli, un passeggino. Una normalità che stride, di fianco alla vetrata distrutta dal semaforo. Non c’è nulla di normale, in quel che è successo.
DanMan