L’altro volto del centro. Quei giovani ’vampiri’ che si “sballano“ nella penombra della sera

Cresce la preoccupazione dopo quanto accaduto alla chiesa di Sant’Andrea. I commercianti: "Spesso siamo costretti a chiudere non appena diventa buio".

di Gaia Parrini

VIAREGGIO

"Prendo solo un cavolino...Che ore sono? Le 12 e 40? Oh mamma come sono in ritardo", esclama di corsa un anziano signore tra la frutta e la verdura di via Cavallotti. "Fammi prendere anche le ciliegie, che la mi moglie non le mangia mai perché è tirchia", continua, non ancora soddisfatto dell’acclarato ritardo per il pranzo in famiglia, il cliente.

È infatti quasi l’ora. È il momento in cui le tavole vengono apparecchiate, i ristoranti accolgono i frequentatori abituali ai tavoli allestiti all’aperto, i commercianti cominciano a tirare giù le serrande per affrettarsi a casa e riaprire nel pomeriggio. E il sole, ormai alle soglie dell’estate, riscalda e illumina la piazza e la facciata, con il portone chiuso, della Basilica di Sant’Andrea, ancora spoglia degli avventori abituali e rigogliosa, invece, di erba ed erbetta.

È una calma piatta che infatti aleggia nelle ore più calde della giornata. Una calma silenziosa e quasi spettrale, che sembra contrastare il caos assordante che, invece, caratterizza la zona dopo il calar del sole. La luce si abbassa e, come vampiri, timorosi del calore e dei raggi solari, escono, dagli angoli più reconditi, tristi e preoccupanti del centro città, "gli ultimi, i disgraziati, i vagabondi". Raggruppandosi all’ombra e al buio del sagrato di quella Chiesa, così come di altre zone. "Perché è infatti una situazione comune – racconta uno dei commercianti che si affaccia su via Sant’Andrea – che si estende a San Paolino, ai parchi e a tutto il mercato. Qui la situazione si aggrava anche per il dormitorio poco più in là, e la sera sono tutti qua fuori, in tutta la zona. Ed è un problema anche per il lavoro, specialmente d’inverno, perché siamo obbligati a chiudere sempre prima: quando fa buio la piazza diventa loro, e tra bottiglie di alcol e altro, c’è da aver paura. Ma allora la questione non è delle Chiese, ma il motivo per cui coloro che si stanziano davanti, possono fare quello che vogliono. Perché? Perché qualcuno glielo permette, quando invece servirebbero più controlli e un’ordinanza del Comune".

Un sentimento comune, che lega chi in quelle strade, tra via Cavallotti, via Sant’Andrea e via Paolina, ha costruito la propria attività e lavora da una vita. E guarda, adesso, con delusione e nostalgia, a ciò che sono diventate. Sono passati 26 anni da quando quel frutta e verdura dove il signore, ormai pensionato ed ex dipendente di un’ottica vicina, chiacchiera e sgambetta, facendo di tutto per aggiungere minuti al suo ritardo. E sono 26 anni che la proprietaria del negozio, affacciata dalla porta di ingresso, tra una cassa e l’altra, tra un cliente e l’altro, osserva l’andirivieni di fedeli, forestieri e girovaghi senza casa e senza meta. In un decadimento, dalla rimozione delle panchine, divenute ritrovo per mangiare e rifugio per passare la notte, all’accumulo di persone che all’ora della messa serale si riversano fuori dalla Chiesa chiedendo l’elemosina, che appare lampante ed evidente. In un sempre più preoccupante giro di spaccio e droga, che invade la zona al buio della sera, e che coinvolge sempre di più giovani e minorenni, che, vagabondando nelle strade limitrofe alla ricerca di qualche bar disposto a vender loro alcolici, con il rischio di multe e addirittura la chiusura del locale, sempre più spesso trovano, nello spazio tra il campanile e la chiesa, il loro luogo e angolo di "svago". I tratti dei loro volti diventano evanescenti, impalbabili, quasi irriconoscibili nella nuvola di fumo aromatica e pungente che aleggia sopra le loro teste. Allo stesso modo evanescenti e impalpabili divengono le loro sensazioni, i loro corpi e i loro pensieri ad ogni fiuto, inspirazione e "tiro" di quella polvere bianca preparata, allestita con attenzione e precisione, e divisa tra i compagni. Nascosti, ma nemmeno troppo, dal buio della sera e dal fogliame degli alberi che dall’alto li sovrastano. E in un luogo destinato, sì, alla preghiera di tutti ma divenuto, ormai, terra di tutti, e di nessuno. Dove a comandare sembra essere chi prima vende o accende. "Ed è un peccato, perché questa sarebbe una piazza funzionale e cruciale per la città – dice la proprietaria dell’esercizio di frutta e verdura –. È ad un minuto dal mare e tre dal mercato. Luogo, anche quello, dove non metto quasi più piede dalla desolazione che mi lascia".

E che lascia non soltanto a chi, in quelle botteghe, trascorre le proprie giornate, ma anche a chi, per quelle strade prega, passeggia o, anche semplicemente, transita.