Paolo Rossi torna a Perugia: «Questa è la mia casa»

Dal Pallone d'Oro alla famiglia: il campione del mondo si racconta

Paolo Rossi

Paolo Rossi

Perugia, 25 maggio 2019 - La maglia Azzurra della finale Mondiale del 1982 ha il numero venti impresso in bianco sulla schiena. Custoditi in bacheca, poco più in là, il Pallone d’Oro per il miglior giocatore del torneo e la Scarpa d’Oro. E ancora la divisa gialla della cattolica Virtus, dove Pablito giocò nel 1968 e gli scarpini consumati, indossati quando aveva appena 13 anni. Benvenuti nel tempio del calcio. Qui, alla Rocca Paolina, rivive la storia scritta attraverso i gol e le imprese di Paolo Rossi. «È sempre un’emozione tornare a Perugia, è la mia casa», spiega il campione del mondo all’inaugurazione della mostra itinerante “Pablito, Great Italian Emotions”, che resterà aperta fino al 30 giugno in centro storico. Sorride, firma autografi, concede selfie mentre scorrono sui monitor le immagini della vittoria sulla Germania, con l’indimenticabile grido di Nando Martellini nella notte spagnola: «Campioni del Mondo! Campioni del Mondo!».

Paolo Rossi, la mostra omaggia una leggenda...

«Il Mondiale del 1982 è rimasto epico per tanti motivi: per i personaggi che hanno partecipato, per tutti gli italiani. La mostra vuole far conoscere alle giovani generazioni quello che è stato, ma anche far rivivere quei magici istanti a chi c’era».

Correva l’anno 1979 quando ha vestito la maglia del Grifo...

«Sono trascorsi 40 anni. Erano altri tempi, un calcio forse più romantico e poetico. Oggi lo sport è cresciuto sotto tutti gli aspetti, sia professionali che economici. Qui al Curi non c’erano il Museo e neanche la nuova sede societaria. Ora si respira l’anima di questo club. Per me Perugia é stata una tappa importante, ci sono rimasto solo un anno quando ne avevo 23. La squadra era molto forte, l’anno precedente aveva sfiorato lo scudetto senza mai perdere una gara. Ho trascorso in biancorosso una buona stagione sotto l’aspetto agonistico».

Cosa si prova tornare a calpestare l’erba del Curi?

«L’arrivo allo stadio è stato un tuffo al cuore, rievoca ricordi indimenticabili, non solo perché ero più giovane ma perché il campo è stato la mia vita».

A Perugia ha incontrato la sua anima gemella...

«La storia prima o poi ritorna sempre. Ho conosciuto mia moglie Federica, abbiamo due bambine. Gli affetti veri sono qui».

Segue il Grifo?

«Sempre. È un’ottima squadra, a un certo punto del campionato sembrava lanciato verso la promozione. Poi ha perso qualche partita di troppo in casa ed è stato sfortunato ai play off. La serie B è lunga e difficile, ma piano piano il Perugia conquisterà il palcoscenico che merita. Una grande società e tifosi fantastici. Ci sono tutte le premesse per tornare in serie A».

Il legame con l’Umbria è forte: ha promosso anche l’Academy, una scuola calcio riservata ai giovani.

«L’obiettivo è il piacere di stare con i ragazzi e scoprire qualche talento. I calciatori arrivano prevalentemente dall’estero. Coltivano tutti il sogno di diventare un giorno grandi campioni, noi cerchiamo di metterli nella condizione di poterci riuscire. Puntiamo a costruire soprattutto degli uomini, il calcio può dare sempre qualcosa nella costruzione della loro vita, come bagaglio di esperienza».

Cosa ha dato il calcio a Paolo Rossi?

«A me ha dato tutto, soprattutto a livello emozionale, ho vissuto situazioni incredibili. Mi ritengo fortunato, il resto è una conseguenza. Oggi si parla di soldi, di ingaggi. I ragazzi vedono la professione in questa prospettiva, ma non è così e non deve esserlo. Il pallone rimane una passione, ed è quella che ti anima».

Proprio la passione è stata sempre al centro della sua vita. Ma come è cambiato il calcio?

«Oggi i ragazzi sono agevolati, fanno un percorso più corto per arrivare ad affermarsi. In passato ci voleva più tempo, bisognava disputare tanti campionati. A 20 anni ancora non sapevo se sarei riuscito a sfondare. Oggi a quell’età i calciatori sono già professionisti e giocano in Nazionale... ».

La Nazionale, già. Gli Azzurri hanno saltato il Mondiale 2018. Cosa si aspetta per il futuro?

«Il corso di Roberto Mancini mi piace. Il tecnico ha avuto coraggio a inserire in squadra tanti ragazzi. Abbiamo sette-otto talenti. È una generazione buona che farà bene». E magari riscriverà la storia.