
Le donne sono spesso costrette ad accettare lavori a tempo determinato
Le donne ancora oggi in Umbria sono impiegate maggiormente nel settore dei servizi, del turismo e del commercio e sappiamo che dopo il Covid i contratti a tempo indeterminato sono diminuiti. Non solo: dopo il primo figlio le donne sono spesso costrette ad accettare lavori a tempo determinato e più precari e questo rischia di inchiodarle a una sudditanza anche psicologica all’interno della famiglia.
E’ il quadro, in estrema sintesi, che è emerso al termine del convegno “Il passo pari: lavoro ed equilibrio di genere in Umbria“ che si è svolto Palazzo Donini e a cui ha preso parte l’assessora Simona Meloni. La situazione nel dettaglio è stata illustrata da Elisabetta Tondini e Mauro Casavecchia di Agenzia Umbria Ricerche. Dall’indagine sulla situazione occupazionale delle imprese umbre pubbliche e private con oltre 50 dipendenti risulta che al 31 dicembre 2023 le lavoratrici dipendenti rappresentano i due quinti del totale (40,2%), in crescita rispetto a due anni prima (37,9%). Le donne restano più concentrate tra i profili impiegatizi e meno tra gli operai, tuttavia rispetto alla rilevazione precedente l’incidenza tra i dirigenti e i quadri è cresciuta in misura proporzionale.
I contratti part time sono diffusi soprattutto nella componente femminile e coinvolgono una donna su tre, anche se il dato è in diminuzione rispetto a due anni prima. Questo dato evidenzia una problematica strutturale, in quanto il part time è non di rado involontario e limita le possibilità di carriera e di guadagno delle donne. Il turnover (assunzioni meno cessazioni) per le donne è stato positivo in tutte le categorie professionali, comprese quelle apicali (in controtendenza rispetto agli uomini).
Le promozioni, soprattutto per le qualifiche più elevate, riguardano prevalentemente gli uomini. Il motivo principale delle cessazioni, presente in misura maggiore nella componente femminile, è collegato alla scadenza dei contratti a termine. Le dimissioni per genitori con figli al di sotto dei tre anni coinvolgono le madri per una misura doppia rispetto ai padri. Ad assentarsi dal lavoro attraverso le varie forme di aspettativa sono soprattutto le donne, che usufruiscono del congedo parentale in misura doppia rispetto agli uomini.
Con l’aumento dell’indennità deciso dal 2023, il ricorso al congedo parentale è triplicato e coinvolge in misura crescente i padri, anche se quasi il 90% delle giornate autorizzate riguarda le madri. Le lavoratrici dipendenti guadagnano mediamente oltre 8mila euro all’anno in meno dei lavoratori. Una parte rilevante del differenziale retributivo dipende dalla maggiore diffusione del part-time femminile, spesso legata a responsabilità familiari. Aggiustando il differenziale retributivo per ora lavorata, resta comunque una penalizzazione per le donne pari al 6,3% (in diminuzione rispetto al -11,5% di due anni prima), che aumenta al crescere della qualifica professionale e raggiunge picchi del 25% tra i dirigenti.
"Sarebbe bello parlare di un passo pari tra uomini e donne nel lavoro – ha detto la consigliera di Pari opportunità della Regione, Rosita Garzi – ma c’è disparità in termini di partecipazione al lavoro, di gap salariale e di occupazione in figure apicali. C’è ancora questo soffitto di cristallo che impedisce alle donne di fare carriera: per quanto le donne siano sempre più preparate e competitive la loro professionalità non è riconosciuta in modo equo"".