Amanda Knox, il ritorno in Italia: "Mi credevano un mostro, mi hanno massacrata"

Le parole della ragazza al Festival della giustizia penale a Modena a quattro anni dalla sua assoluzione

Amanda Knox racconta commossa la sua vicenda giudiziaria (Foto Lapresse)

Amanda Knox racconta commossa la sua vicenda giudiziaria (Foto Lapresse)

Modena, 15 giugno 2019 - Dopo quattro anni trascorsi in carcere, otto anni di processo e "molti costi sostenuti per gli errori degli altri", quello che rimane è l'insegnamento di don Saulo Scarabattoli, cappellano della sezione femminile del carcere di Perugia, che "mi ha insegnato a coltivare una mentalità comprensiva, attenta a capire". E' con tanta commozione che Amanda Knox cerca di fare "sintesi" sulla vicenda giudiziaria che l'ha riguardata, in merito all'accusa di omicidio della studentessa Meredith Kercher, avvenuto nella notte del 1 novembre 2007. Un ricordo che non ha risparmiato critiche al sistema penale e quello dell'informazione italiana: "sono grata alla Corte di cassazione" che l'ha prosciolta assieme all'ex fidanzato Raffele Sollecito, "ma tutto questo non assolve lo Stato per avermi processata per otto lunghi anni con poche o nessuna prova, una teoria assurda e il vero assassino già dietro le sbarre". E non assolve i media che "anche oggi trattano la mia vita come contenuto per i loro introiti".

"E quello che mi ha lasciato questa esperienza" ha raccontato Amanda Knox nel suo intervento al Festival della giustizia penale a Modena, è "un sistema giudiziario - quello italiano - che nonostante l'opinione pubblica alla fine ha stabilito la verità cioè che Raffaele ed io non abbiamo ucciso Meredith. Ha dichiarato che le mie dichiarazioni alla polizia erano inutilizzabili perché era stato negato il diritto di essere informata che ero una sospettata e avere accesso un avvocato e un interprete. Ha assolto me e i miei genitori dalle accuse di calunnie intentate contro di noi dai poliziotti che mi hanno interrogato. Ha sentenziato contro il Corriere della sera per aver pubblicato il libro diffamatorio sulla mia vita intima. Sono grata alla Corte di cassazione e agli altri giudici per avermi rivendicato". Quest'anno, ha ricordato la giovane di Seattle "la Corte europea dei diritti dell'uomo mi ha rivendicato ancora, condannando la Repubblica italiana per aver violato il mio diritto di" avere una "difesa e un interprete. Sono grata. Ma tutto questo non assolve lo Stato per avermi processata per otto lunghi anni con poche o nessuna prova, una teoria assurda e il vero assassino già dietro le sbarre. E non assolve i media che hanno raccolto un immenso profitto vendendo una storia scandalosa, trasmettendo uno spettacolo, mentre il mio vero processo era ancora in corso. Anche oggi i media trattano la mia vita come contenuto per i loro introiti". "Non mi basta che alla fine la mia vicenda si sia conclusa bene; abbiamo bisogno di fare bene prima, molto più spesso di quanto facciamo adesso - ha continuato Amanda Knox nella sua testimonianza al dibattito modenese su 'Processo penale mediatico' -. I media possono essere una forza potente nell'aiutarci a farlo. In quattro anni in carcere, otto anni di processo e ancora oggi ho dovuto sostenere molti costi per gli errori degli altri".

Figura chiave è stata quella di don Saulo Scarabattoli, a lungo cappellano della sezione femminile del carcere del capoluogo umbro dove l'americana è stata detenuta per quasi quattro anni prima di essere assolta. "Ho incontrato don Salvo la prima volta nei primi giorni dal mio arresto quando ero tenuta in isolamento e avevo solo funzionari della prigione con cui parlare - ha ricordato Amanda -. Nel suo ufficio gli ho detto che cosa era successo e gli ho chiesto se credeva che io fossi innocente. E la sua risposta mi ha spezzato il cuore perché ha detto 'credo che tu sia sincera', non ha detto 'ti credo'. Sembrava che nessun altro, all'infuori della mia famiglia, avesse visto la verità in me, non i media, non i pubblici ministeri, non il pubblico e nemmeno il cappellano". Ma nel corso degli anni, ricorda la giovane "don Saulo e io siamo diventati amici.

Lui è un uomo incredibile; abbiamo discusso questioni filosofiche insieme e abbiamo suonato la musica e lui non mi ha mai giudicata, non mi ha mai detto chi fossi, ha sempre ascoltato. Io non dimenticherò mai l'ultima volta che sono stata con lui: era il giorno in cui stavo aspettando il verdetto del mio appello, abbiamo passato ore nel suo ufficio cantando canzoni e parlando di ciò che pensavamo sarebbe accaduto. Io non ero sicura di poter sopravvivere al crepacuore di un altro verdetto di colpevolezza, ma don Saulo era convinto che stavo finalmente tornando a casa e sapevo allora che lui poteva davvero vedere la vera me, e che aveva visto la vera me per anni. E gli sono così grata per quell'atto semplice, per avere ignorato le menzogne e per aver scelto di vedermi con compassione ed empatia. E' stato un esempio per me, mi ha insegnato a coltivare una mentalità comprensiva, attenta a capire. Ho combattuto per arrivare a questo traguardo personale con la mentalità basata sulla gratitudine".