L’infanzia del bimbo abbandonato E con i partigiani sul Monte Morello litigò con i capi comunisti

Passava volentieri sotto casa del padre che non lo aveva riconosciuto, ma senza nostalgia. Quando alla dogana gli chiedevano se fosse italiano, lui rispondeva due parole: sono fiorentino

L’infanzia del bimbo abbandonato  E con i partigiani sul Monte Morello  litigò con i capi comunisti

L’infanzia del bimbo abbandonato E con i partigiani sul Monte Morello litigò con i capi comunisti

di Titti Giuliani Foti *

Il suo colore preferito era l’azzurro intenso come quello dei suoi occhi; il suo profumo, il Penhaligon’s, la formazione in collegio con autorevoli precettori come Giorgio La Pira al convento di San Marco. Un giorno del 1931 una zia era andato a riprenderselo all’Istituto degli Innocenti: si era diplomato all’Accademia di Belle Arti, e per i suoi meriti introdotto fin da ragazzo nella società cosmopolita della Firenze d’anteguerra. E poi c’è lo Zeffirelli che studia architettura nella sua Firenze e sviluppa la sua grande passione per la scenografia .

Un Maestro che fin da studente si era messo in mostra come geniale scenografo e costumista di raffinata formazione, da attirare l’attenzione di Luchino Visconti che lo volle con sé per la messa in scena del “Troilo e Cressida” di Shakespeare andato in scena nel Giardino di Boboli nel 1949 per il Maggio. Una data passata alla storia perché nasceva da questo un sodalizio artistico e umano che avrebbe segnato tutta la vita del bellissimo ragazzo fiorentino.

Non ha mai dimenticato né rinnegato gli anni di Firenze. Che per Zeffirelli furono difficili, con motivi che segnarono la sua vita: lo spettro della Seconda Guerra Mondiale, iniziata quando aveva sedici anni, il mancato riconoscimento del padre, Ottorino Corsi commerciante di stoffe, avvenuto quando il futuro regista aveva già diciannove anni. In questo contesto qui dovette fare i conti anche con la prematura scomparsa della madre, e con paure concrete, non ideologiche. Nonostante questo non aveva mai perso la speranza o la voglia di vivere, anzi.

Ed è da Firenze che inizia a nutrire il desiderio di lasciare nel mondo una sua traccia, un messaggio costruttivo, di fiducia. Nonostante tutto. Zeffirelli amava talmente tanto questa sua città da portare in giro per il mondo una cartolina incorniciata con i monumenti simbolo: Santa Maria del Fiore e Battistero. E’ stato sempre fedele alle sue amicizie: da quella con il parroco di San Lorenzo, don Giancarlo Setti a quelle con alcune famiglie fiorentine come quella di Giovanna Calamai, di Anna Anni, Alfredo Bianchini e il barone Franchetti: ha avuto un legame di grande stima con l’ex sindaco Luciano Bausi, e col sovrintendente del Maggio, Luciano Alberti; l’inossidabile amicizia con una fiorentina eccellente come Oriana Fallaci.

Era andato via da Firenze presto, scegliendo di non avere più una casa sua, ma all’occorrenza sostare in albergo senza rinunciare ai sui piatti preferiti, la bistecca, la pappa al pomodoro, la ribollita.

Passava volentieri ma senza nostalgia sotto la casa del padre dove aveva vissuto per un breve periodo, in via dell’Oriuolo fino ad arrivare alla sartoria dove abitava e lavorava la madre, in Piazza della Repubblica. Una devozione per Firenze unica e rara: quando alla dogana gli chiedevano se fosse italiano, lui rispondeva due parole: sono fiorentino.

Zeffirelli che nel 1943 raggiunse i partigiani su Monte Morello ma non legò con i capi comunisti, “torvi intolleranti cupi” che lo guardavano con sospetto per le sue convinzioni cattolico-liberali. Zeffirelli e la passione per la sua Fiorentina che si traduceva in esternazioni di fuoco contro l’odiata Juventus. Zeffirelli e l’amore per gli animali, per i cani, che si trasformava in invettiva contro il Palio di Siena definito “appuntamento di morte”. Zeffirelli e il suo cuore: capace di grandi e durature amicizie come con la Magnani e la Callas. Zeffirelli che convoglia nelle tasche del comune nel 1966 25 milioni di dollari con il documentario sull’alluvione senza chiedere niente in cambio. Disse un giorno: “Vorrei essere più giovane, aver vissuto meno, lottato meno, capito meno”. Per poi aggiungere: “Anzi, forse no”.

* Fondazione Zeffirelli