Il fascino della Marmifera. Quell’opera di ingegneria che tutto il mondo invidiava

Restano le sagome delle gallerie che penetrano i monti, i terrapieni e i ponti sulle vallate. Le tappe di un progetto nato a metà del 1800 che ha visto una tortuosa realizzazione.

Il fascino della Marmifera. Quell’opera di ingegneria che tutto il mondo invidiava

Il fascino della Marmifera. Quell’opera di ingegneria che tutto il mondo invidiava

Ancora oggi quel che ne resta parla di un’opera di ardita ingegneria, i suoi ponti che attraversano le vallate, la sagoma delle gallerie che penetrano la montagna, i terrapieni che la contenevano, parlano di un’opera imponente, fantastica per i suoi tempi, una meraviglia che desta stupore. Oggi la Ferrovia Marmifera di Carrara non esiste più, amministrazioni troppo frettolose e poco lungimiranti ne hanno decretato una morte precoce negli anni ‘60, ma quel che resta (molte strade che salgono alle cave sono ricavate sul suo vecchio tracciato) parlano ancora e inducono a espressioni tra la curiosità e la sorpresa.

Ma se prematura e devastante è stata la sua morte (proviamo a immaginare cosa sarebbe oggi un treno che si arrampichi su quella strada ferrata), tribolata è stata la sua nascita, una storia giudiziaria senza fine, vicende legali ben più aspre delle difficoltà incontrate per domare un terreno particolarmente duro. All’epoca i vantaggi di una ferrovia che avrebbe soppiantato l’antico trasporto dei marmi su carri trainati da buoi, era evidente a tutti: se prima occorrevano 14 ore per portare i marmi dal bacino di Ravaccione ai pontili della Marina, con la ferrovia ne sarebbero bastate due. Logico che stimolasse tanti appetiti. I primi tentativi sono di Andrea Del Medico sotto i duchi estensi (poi arenatisi anche per i boicottaggi ai materiali), ed è nel 1866 che si torna a parlare di marmifera. Una società anonima chiede al sindaco il permesso di costruire e gestire per i primi 50 anni una strada ferrata che allo scadere sarebbe passata in proprietà al Comune.

Il primo illecito era già consumato perché la società era formata da Giuseppe Troyse Barba (rappresentante legale), Giuseppe Da Pozzo (imprenditore), Francesco Bourelly (ingegnere capo del comune), Giacomo Fossati (segretario generale del comune). Questi ultimi due avevano un ruolo pubblico incompatibile con l’appartenenza alla società. La decisione del Ministero di attribuire una natura pubblica all’opera, provoca il primo ricorso del Comune al Consiglio di Stato. Quindi sorgono contrasti tra Troyse Barba (che aveva sottratto i suoi studi da ogni consultazione) e Fossati. Il Comune chiama entrambi davanti al tribunale di Massa e nel frattempo anche la Corte di Appello di Firenze interviene nella lite sorta tra Fossati e Bourelly da una parte, e Troyse dall’altra. Il Comune annulla la concessione per affidarla a Giovanni Bernardi e Giuseppe Merlini, introdotti dalla Banca Nazionale Toscana. Quindi Merlini cede i propri diritti al banchiere Luigi Mordant che si associa con Adriano Righi.

Nel 1870 interviene anche il governo che affida un nuovo progetto alla società David Barlassina e Lotaringo Della Stufa spiazzando il Comune che, manco a dirlo, apre un contenzioso legale che si conclude favorevolmente nel 1873 davanti alla corte di Appello di Roma. Nuovo incarico del Comune a Mordant e Righi, nuova causa davanti il tribunale di Massa, promossa da Fossati, Da Pozzo e Bourelly; mentre il Comune querela Fossati e Bourelly per la incompatibilità degli incarichi. Della vicenda Fossati si interessano anche la Corte di Appello di Genova, la Corte di Cassazione di Torino, la Corte di Appello di Casale Monferrato: Fossati chiedeva al Comune 6 milioni di lire, ma ne esce sconfitto.

Nel 1874 i nuovi ingegneri progettisti Willy e Ganzoni, iniziano i lavori con la ditta Ferrari-Prati di Sinigaglia, mentre Turchi è il direttore dei lavori. Nel 1876 i primi treni iniziano ad arrampicarsi fino a Miseglia e Torano, mentre Avenza è unita ai pontili di Marina (nel 1866 era stato aperto il tratto tra Avenza e Carrara San Martino, a cura della società delle Strade Ferrate Romane). Nel 1890 entra in funzione l’ampliamento di 20 chilometri che porta la ferrovia anche in altri bacini. Ma quanta fatica! Un miracolo che la marmifera sia riuscita ad essere realizzata. Poi, per quasi un secolo, la marmifera è stata una presenza costante nella vita della città: i suoi convogli hanno scorazzato dai moli della Marina fino alle cave, passando per la stazione di Avenza, per quella di San Martino (chiamata così in onore della battaglia risorgimentale), dal ponte in località Boccalone entravano in città e per l’attuale via don Minzoni e poi l’odierna via del Cavatore, raggiungevano il ponte di ferro e poi su, fino al cuore dei bacini. Nel 1964 il suo atto di morte, ma chi ha i capelli grigi ricorda ancora con piacere e un pizzico di nostalgia quei fischi e quegli sbuffi della locomotiva, quella processione di carri ferroviari carichi di blocchi bianchi.

Maurizio Munda