"Va in scena il grande inquisitore"

Umberto Orsini con ’Le memorie di Ivan Karamazov’ al Politeama. "Lo conosco da quasi mezzo secolo"

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Al via la nuova stagione del Teatro Politeama di Poggibonsi. Stasera alle 21 è in programma il primo degli spettacoli in abbonamento con Umberto Orsini in "Le memorie di Ivan Karamazov", per la regia di Luca Micheletti. Un percorso all’interno dell’ultimo e forse più grande romanzo di Dostoevskij, I fratelli Karamazov, che Umberto Orsini affronta per la terza volta nella sua carriera d’attore come una linea guida e "cavallo di battaglia". Dopo il fortunato sceneggiato televisivo di Bolchi e la leggenda del grande inquisitore, questo "nuovo Karamazov" è per Orsini l’occasione di confrontarsi direttamente con la complessità del personaggio più controverso e tormentato dell’intera epopea letteraria: Ivan Karamazov.

Orsini, chi e che cosa troverà il pubblico sul palcoscenico del Politeama?

"Sembra incredibile ma è quasi mezzo secolo che conosco il signor Ivan Karamazov. L’ho incontrato in uno studio televisivo di Via Teulada, e da allora ci siamo guardati nello specchio e ci siamo confusi uno nell’altro al punto di identificarci o de-identificarci. L’ho costruito giorno dopo giorno quell’Ivan. L’ho difeso da una sceneggiatura che lo penalizzava, battendomi per dare lo spazio adeguato all’importanza del suo ’Grande Inquisitore’, inizialmente dato per troppo cerebrale e dunque probabilmente indigesto al grande pubblico. Con lui, specchiandomi in lui, ho trascinato il pubblico all’ascolto record in una puntata dei ’I Fratelli Karamazov’".

Cosa è successo poi?

"È lì che ci siamo incontrati, negli anni Settanta, e da allora è stato difficile, per chi in quegli anni ha seguito quella trasmissione, separare la sua immagine dalla mia. E, a poco a poco, anch’io mi sono illuso di essere il depositario di quell’immagine, di essere diventato il suo doppio, il suo sosia, per dirla col suo autore, il signor Dostoevskij. E, negli anni successivi a quel primo incontro in cui gli avevo prestato le mie sembianze, ho sempre cercato di seguirlo anche fuori dal contesto del romanzo, immaginando per lui una longevità e un finale che il suo autore gli aveva negato".

Come ha deciso di rappresentarlo?

"Mi sono dunque preso la libertà di rappresentarlo come un personaggio che resiste nel tempo, e mi sono chiesto, e gli ho fatto chiedere, perché mai l’autore, il suo creatore, lo abbia abbandonato non-finito. E questo non-finito me lo sono trovato tra le mani oggi, come in-finito e dunque meravigliosamente rappresentabile perché immortale e dunque classico".

Fabrizio Calabrese