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’Sfruttati’, la piaga del caporalato: "Migranti pagati 5 euro all’ora"

Il prefetto Pirrera: "Più controlli in agricoltura", il cardinale Lojudice: "Enti e istituzioni uniti nell’accoglienza"

Lavorano in condizioni disumane. Si chiamavano schiavi un tempo, oggi si possono chiamare lavoratori stranieri sfruttati. Sfrutatti da aziende contoterziste, dove il rischio caporalato mascherato è altissimo in quanto forniscono manodopera flessibile e non qualificata. Una manodopera ricercata sempre di più fra i più fragili, ovvero i richiedenti asilo. Semplice capire il perchè: sono persone vulnerabili e quindi disposte a tutto, anche ad accettare un lavoro ’grigio’ e sfruttato. È questo quello che emerge dal nuovo libro ’Sfruttati, immigrazione, agricoltura e nuove forme di caporalato in Toscana’ a cura di Fabio Berti.

Per il docente di Sociologia all’Università di Siena questo territorio non è esente dalla piaga del caporalato. "Queste pratiche sono diventate sistemiche e strutturate – spiega – e coinvolgono molti richiedenti asilo a due mesi dalla presentazione della domanda. Per lo più africani, pakistani, bengalesi, indiani pagati meno di cinque euro all’ora".

Lavoratori utilizzati soprattutto in agricoltura. "Abbiamo pochissimi casi in edilizia e nelle manutenzioni – evidenzia il prefetto Matilde Pirrera – perché in base alla nostra esperienza i controlli sono più efficaci in questi due settori, mentre sono meno efficaci in agricoltura dove spesso i nostri migranti vanno a lavorare a Grosseto e viceversa. Noi abbiamo trovato sette lavoratori in nero in un Cas della provincia, questo ci fa capire che anche chi ha un’accoglienza e una forma di tutela non rifugge dall’esporsi a dei rischi gravissimi legati al caporalato".

Una soluzione per Pirrera è modificare le normative: "Proporrò una modifica legislativa, perché anche in agricoltura è indispensabile la notifica preventiva, come è importante che i datori di lavoro e le associazioni di categoria non minimizzino più il problema del caporalato, ma anzi si facciano parte diligente".

Quando nella provincia di Siena si parla di caporalato si parla di raccolta di uva e olive come ha evidenziato l’ispettorato del lavoro. "Su 150 aziende visitate il 50% di queste ha presentato irregolarità lavoristiche, ovvero lavoratori in nero e orari di lavoro non in linea con quanto previsto nei contratti. Inoltre su salute e sicurezza il 90% delle aziende ha presentato irregolarità, lavoratori senza visita medica e mancanza di formazione obbligatoria – spiega Maria Francesca Santoli, direttore dell’Ispettorato territoriale del lavoro di Siena e Grosseto –. Siena vive di agricoltura e si avvale di aziende controterziste che procurano braccianti agricoli scarsamente qualificati e per nulla formati".

A presentare il libro del docente Berti, anche il cardinale Augusto Paolo Lojudice, da sempre vicino ai temi legati all’accoglienza dei migranti: "Non è una novità, ho affrontato questo tema quattro anni fa con i sindaci della diocesi – sottolinea l’arcivescovo –, questo studio è uno strumento utile per trovare soluzioni. Ancora una volta la strada migliore è la sinergia fra i vari enti e istituzioni".

Simona Sassetti