Mustafa e Lejla, le foto che cambiano la vita

Lo scatto vincitore del Siena Award del turco Aslan ha innescato la raccolta fondi. Come accadde nel 1995 per la ragazza di Sarajevo

Munzir e Mustafa, i due protagonisti dello scatto 'Hardship of Life'

Munzir e Mustafa, i due protagonisti dello scatto 'Hardship of Life'

Ci sono immagini che arrivano dritte al cuore. Passano per la corsia preferenziale delle emozioni. Intercettano la traiettoria dei sentimenti. E sono foto che hanno il potere di cambiare le cose. Salvare vite, anche. Non sempre. Ma a volte succede. È questa la speranza con la quale il Siena Photo Awards ha avviato la raccolta fondi per il piccolo Mustafa, il bambino siriano privo di arti, a causa dei gas respirati dalla madre in un bombardamento aereo. L’immagine, scattata dal turco Mehmet Aslan, esposta all’ex distilleria Lo Stellino, sta facendo il giro del mondo, portando con sé la richiesta d’aiuto della famiglia del piccolo. E la speranza che possa salvargli la vita.

Come accadde per un’altra foto, scattata ventisei anni fa. Era il 1995, quando una granata colpì al volto Lejla Jasarevic, una bambina di Sarajevo che aveva dodici anni. Sua madre la raccolse da terra. La sollevò in braccio e si appoggiò sulla spalla la testa della piccola. Il destino le mise di fronte un fotoreporter, proprio in quel momento. Robert King scattò la foto, ritraendo quella bambina ferita, che divenne l’icona di quella guerra. Un’immagine così forte che riuscì a smuovere le coscienze. Tanto che un mese dopo, grazie a una mobilitazione che partì dall’Unità diretta da Veltroni, un aereo della Presidenza del Consiglio trasportò Lejla da Spalato a Siena, dove venne operata da Renato Frezzotti e poi da Desiderio Passali. "Quella foto mi ha salvato la vita – racconta oggi Lejla – le devo tutto. Ero rimasta per tre settimane in ospedale in Bosnia. Avevo la febbre molto alta e non riuscivano a capire perché. Quando mi portarono a Siena, invece, scoprirono che avevo un’infiammazione all’osso. Se non l’avessero curata, sarei morta". Perse l’occhio, ma si salvò. Nei giorni seguenti, anche King arrivò a Siena per andarla a salutare. Le portò un peluche. "Tornò a trovarmi anche qualche anno dopo – racconta Lejla – ma poi non ci siamo più rivisti. Da qualche anno, però, abbiamo ripreso a sentirci, su Facebook. Mi piacerebbe rivederlo, ma è complicato, perché lui è tornato in Tennessee". Lejla, invece, dopo l’operazione rimase a Siena con la madre e il fratello. Suo padre era un militare e riuscì a raggiungerli solo dopo la fine della guerra. I suoi sono rimasti in città, anche dopo che lei si è trasferita in Sicilia, dove vive con il suo compagno. Ma a Siena torna spesso a trovare i suoi genitori. Perché è qui che è iniziata la sua seconda vita. Quella che la foto scattata da King le ha reso possibile. "Quando rivedo quella foto sento tante emozioni – dice – provo rabbia e tante altre cose. Ma ogni volta ringrazio Dio che sia stata scattata". La speranza è che grazie al Siena Photo Awards anche il piccolo Mustafa un giorno possa dire lo stesso. E che la sua foto possa cambiare qualcosa anche per i bambini, come lui vittime di qualche guerra, rimasti fuori dall’inquadratura.

Riccardo Bruni