ROBERTO BARZANTI
Cronaca

Mazzini, ’Quanta carta’. In mostra 70 anni di arte

Inaugurata nel museo della Contrada della Tartuca la rassegna di disegni e opere varie dell’architetto, primo assessore all’urbanistica di Siena.

Mazzini, ’Quanta carta’. In mostra 70 anni di arte

Mazzini, ’Quanta carta’. In mostra 70 anni di arte

Grande folla in Tartuca per celebrare i dieci anni del Museo della Contrada (e i venti dall’incarico all’architetto Andrea Milani). La ricorrenza ha avuto a suo nucleo una mostra dedicata al lavoro di Augusto Mazzini, architetto ben noto, primo assessore all’urbanistica del Comune di Siena, personalità dal polimorfo estro creativo. Il titolo dell’esposizione che invade - oltre trecento i pezzi selezionati - tutte le sale, ’Quanta carta Una vita di-segni’, fa già capire il filo conduttore. Augusto ha consegnato a ritratti, paesaggi, abbozzi, appunti grafici, manifesti le invenzioni del suo ingegno. Seguirlo in questo itinerario è un po’ seguire idee e proposte della seconda metà del Novecento. Augusto ha sempre considerato Siena come un organismo ostile a improvvisazioni e inserimenti incidentali.

Nel suo costante amore ha rovesciato un atteggiamento tipico della mentalità diffusa: i senesi hanno avuto un rapporto diffidente con la modernità. Si sono spesso mantenuti sulla soglia affezionati a moduli incorreggibilmente arcaicizzanti. In ciò ribaltando l’idolatria per il passato e chiamando il Moderno - con la maiuscola - a entrare in un consacrato tessuto urbano. All’inizio ci fu l’idea di far costruire ad Alvar Aalto un Palazzo della cultura in Fortezza che svettasse come una cattedrale laica in dialogo con l’Acropoli del Duomo.

L’intuizione non ebbe seguito ed è stata forse l’occasione più innovativa che non si riuscì a condurre a buon fine. Altro punto su cui egli ha insistito è quello dell’intercomunalità, ma la Grande Siena è rimasta in buona misura sulla carta. Insomma se si fa un bilancio dei suoi contributi si constata un alternarsi di vittorie (non solitarie) e sconfitte. Il razionalismo appreso all’Università incontrò pesanti ostacoli. Le Corbusier fu un mito, De Carlo un maestro di rigore. Augusto è rimasto sempre un seguace del Moderno modulato con intonazioni tratte dallo spirito del luogo. Pure il sogno di sistemare con un nuovo ordine critico la Pinacoteca nel Santa Maria della Scala per dotare Siena di un museo vivente, assecondando prospettive che Cesare Brandi aveva ripreso dal Fabio Bargagli Petrucci del 1905 non ha avuto lo sbocco auspicato. Vien da dire che Augusto & compagni hanno tentato di innovare coniugando antico e moderno, aggiornando gli ultimi sprazzi di una visione aristocratica al tramonto, più tollerata che sostenuta da un ceto politico rivoluzionario a parole. Nei disegni trapelano appagate contemplazioni e amare delusioni. Augusto è stato un instancabile artista mimetico. Nelle sue opere è in azione un pennarello frenetico. Scoperta l’influenza del socialista Scalarini come dell’ironia alla Steinberg. Per celebrare la vittoria del Palio non con tronfia retorica suggerì di ridare al rione l’atmosfera dei tempi andati. E nell’Arte di sopravvivere (1972) raggiunse il culmine del suo elegante immaginario, disegnando una sequenza di fantini immersi nel grigiore quotidiano. I colori dei loro giubbetti erano simboli di speranze che sfidano tempi duri e sconvolgimenti imprevedibili.