"Sono capone". Questo il mantra che contrassegna da sempre la carriera sportiva di Matteo Betti. L’atleta senese di 39 anni, figlio di Marino, tassista senese, e di Eva, casalinga svizzera: quando vuole raggiungere un obiettivo, ci lavora anche a costo di scelte impopolari. Sedici volte campione italiano, giunto alla sua quinta Paralimpiade, Betti è rimasto sempre se stesso. In contrada è stato tra i responsabili del Gruppo Piccoli nel Nicchio, garantendo sempre il suo contributo in prima persona. Lo scorso agosto durante una cena propiziatoria, organizzata dall’Associazione Robur 1904, prima della partenza con tutte le associazioni sportive senesi, si sono radunate oltre 60 persone pronte a sostenerlo in vista di Parigi. In altre parole, la città crede e si immedesima in lui da sempre.
E’ la storia personale di Matteo a parlare, oltre ai suoi risultati sportivi: per un problema durante il parto Betti subisce un danno biologico, emiparesi destra, per la temporanea assenza di ossigeno. All’epoca Neonatologia era dall’altra parte della città: mamma Eva rimane ricoverata e vede il figlio solo una settimana dopo il parto. Si accorge subito che qualcosa non va, ma solo dopo numerose visite a Roma e in Svizzera, arriva la diagnosi definitiva e anche la terapia: lo sport per recuperare il prima possibile. La carriera sportiva di Betti inizia in piscina. Ma Matteo è appassionato di spade e pirati, quindi sceglie la scherma. Inizia con il maestro Roberto Zalaffi, viene allenato anche da Alessandro Zalaffi che si stava specializzando in Neurologia: questo aiuterà il campione senese ad allenarsi in modo specifico in piedi, non in carrozzina. Tra i vari passaggi di società (dalla Mens Sana al Cus), ottiene i primi risultati, allenandosi con i normodotati. A 18 anni l’allenatore della Nazionale paralimpica gli propone la scherma in carrozzina e lui accetta la nuova sfida. Così inizia la nuova carriera, anche se ogni tanto continua a fare le gare in piedi.
Incredibile il numero di medaglie vinte tra Campionati del mondo, Europei, Coppe e titoli nazionali. E’ tra i protagonisti ai Giochi Paralimpici di Pechino 2008: 5° individuale (fioretto), 7° individuale (spada); a Londra nel 2012: 14° individuale, 4° a squadre (fioretto), 3° individuale (spada); a Rio 2016: 6° individuale, 5° a squadre (fioretto); 7° individuale, 5° a squadre (spada). Infine a Tokyo 2020: 4° individuale, 5° a squadre (fioretto). Dopo Tokyo nel 2021 si è impegnato ancora di più, a causa della forte delusione per aver perso la medaglia di bronzo. Come tutti gli atleti paralimpici, ha sempre portato due armi lui spada e fioretto). Stavolta a Parigi ha deciso di portare solo il fioretto perché "è l’unica arma in cui mi manca la medaglia olimpica individuale". Ha lavorato solo su questo. Il figlio Gregorio, 7 anni, e la moglie Giada hanno dato una spinta importante alla determinazione di Matteo nel raggiungere questo risultato: per lui la presenza della famiglia a Parigi è stata una vittoria importante tanto quanto il oprimo o secondo gradino del podio.