L’uomo che voleva Apple oggi scommette tutto sull’intelligenza locale

Marco Landi, da Chianciano a Cupertino. E ritorno

Marco Landi

Marco Landi

Siena, 7 novembre 2018 - Se Steve Jobs ha chiamato una delle sue figlie Siena, un po’ è anche merito suo. Se nel 1997 il genio è tornato nell’azienda che aveva creato, dandole la spinta innovativa capace di farla arrivare, 20 anni dopo, a essere la prima società quotata a valere mille miliardi di dollari, un po’ è anche merito suo. Anche se, 6 mesi dopo, Jobs lo costrinse a dimettersi da Apple.

Marco Landi ha raccontato la sua avventura nell’azienda simbolo della Silicon Valley nel libro ‘Da Chianciano a Cupertino’, la storia di quegli anni al vertice della ‘mela colorata’. A me e a La Nazione la raccontò nel 1999, quando venne a Siena per un progetto di digitalizzazione delle scuole, voluto dall’allora sindaco Piccini. "Lo ricordo quel progetto - dice oggi Landi, dal suo buen retiro in Costa Azzurra - Volevamo portare i computer nelle scuole, quando non c’erano ancora i personal e l’IMac andava alla grande. L’idea era di comprare un milione di computer e creare aule informatiche in migliaia di istituti. Ci fermarono prima, per il boom dei pc. E dell’IMac venduto a mille dollari".

E’ vero che Jobs chiamò sua figlia Siena per un poster che vide nel suo ufficio?

"È una storia ben raccontata. Ma la realtà è che Steve Jobs amava la Toscana e Siena in particolare. Ci era venuto diverse volte. Il nome lo scelse lui".

Anche Tim Cook ama Siena, è già venuto due volte...

"Mi farebbe piacere scoprire che è merito mio, ma non credo".

Come sono stati quegli anni alla Apple?

"Arrivai nel 1993 e non c’era un soldo in cassa, avevamo dollari per pochi mesi. Tornammo a fare utili e Gilbert Amelio, amministratore delegato nel 1996, mi chiamò a Cupertino per fare il presidente di Apple Europe e il capo operativo. Mi disse: ‘vuoi venire a provare a cambiare il mondo?’. Io accettai".

Non c’era Jobs a quei tempi?

"No. Ma io fui l’artefice della sua riassunzione. Avevamo bisogno di un nuovo sistema operativo. Cercammo di comprare il BeOs da Jean-Louis Gassée, che però chiese 220 milioni di dollari. Apple allora si rivolse a Jobs e comprò Next per 400 milioni di dollari. E lui rientrò in azienda".

Si vendicò subito, cacciando Amelio e lei?

"Passarono un po’ di mesi. Ma lui aveva bisogno di soldi per rivoluzionare il mondo. Il suo genio si manifestò con l’IPod nel 2001. Mise fuori gioco prima Microsoft, poi la Sony, poi Nokia con i telefonini. Tutto grazie a quel suffisso I, la persona che diventata tutt’uno con la macchina".

Provò a ritornare da lui?

"Provai addirittura a comprare Apple. Nel 1999 ero nel consiglio d’amministrazione di Telecom, il presidente era Rossignolo. Avevamo tanti soldi e tante idee, e sapevo che Jobs aveva dei problemi finanziari. Gli chiesi un incontro, andai a Cupertino con DeLeo, chief strategist di Telecom. Jobs si mostrò interessato, ma non facemmo in tempo a mettere nero su bianco l’offerta. Perché Colaninno e i ‘capitani coraggiosi’ avevano scalato Telecom e io mi ritrovai fuori dal cda".

Venti anni dopo, perché è tornato a Siena?

"Credo di non averla mai lasciata, anche se vivo tra la Costa Azzurra e Bologna. Ho ancora tanti amici, a cominciare dall’ingegner Marco Gori. È per merito suo che, tramite The Digital Box, la mia società nata in Puglia, ho acquisito l’anno scorso Quest.it. L’ho pagata diversi milioni di euro, i progetti dello staff di Di Iorio mi hanno stregato. Sono convinto che conquisteremo nuovi mercati con l’intelligenza artificiale made in Siena".

Quali sono i vostri piani?

"Creeremo un laboratorio assieme all’università e al dipartimento di ingegneria. Svilupperemo nuovi software che attireranno tante aziende. Il potenziale è enorme. Andremo in Cina a breve, per presentare i progetti. L’idea è raddoppiare il personale, in pochi anni. Oggi abbiamo 80 dipendenti, 20 nella sede senese. Arriveremo a 160 in breve tempo".