
Continuiamo oggi, con
una puntata sul borgo
di Filettole, il nostro viaggio
nella Prato di ieri iniziato
tre settimane fa con
la presentazione di questo
nuovo appuntamento
domenicale offerto
da La Nazione ai suo lettori
e proseguito il 16 gennaio
con l’intervista al Premio
Strega Edoardo Nesi e il 23
gennaio con l’amarcord
sullo stadio Lungobisenzio.
di Roberto Baldi
Raggiungi il borgo in un’aurora profumata di cipressi e vitigni, in mezzo ai prati che si tingono di un verde timido, affrontando le prime pendici sistemate ancora oggi con terrazzamenti sorretti da alti muri di alberese, che determinano un paesaggio costruito come un’architettura. Per parlare di Filettole, "un asilo di pace e di fede - come lo definisce Sem Benelli in uno scritto del 1924 - dove i miei vecchi sostarono nella loro fatica di lavoratori", si scomodarono fin dal XIV secolo altri letterati illustri come Giovanni Gherardi, il Firenzuola, Bernardo Segni, Gabriele D’Annunzio, Armando Meoni e Curzio Malaparte che, vivendo da ragazzo a Coiano sull’opposta sponda del Bisenzio, si trovava di fronte il fianco della Retaia con gli oliveti distesi da Canneto a Filettole e ville con il nome dei proprietari di allora: villa Rucellai, villa Gini (il Quercetino) e su in alto villa Gherardi (la Terrazza), acquistata nel 1700.
E’ a villa Gherardi che si avventuravano i contadini dalla piana, come illustrano le attraenti foto di Ranfagni, per portare il raccolto alla fattoria con lo stemma crociato che compare anche su varie costruzioni rurali della zona circostante e allo stand della fiera di settembre, dove la fattoria esponeva ogni anno i propri prodotti e offriva per 30 centesimi un bicchiere di vino di quello buono. Nell’aia le feste estive. Per i più ardimentosi il gusto di inerpicarsi verso la collina, dove il paesaggio assume l’aspetto tipico dei poggi pratesi che, come scrive Armando Meoni "schierano impietose pettate con cigli scoscesi, fra cui sta prigioniero un drappello di cipressi che, spenta la speranza di toccare il cielo, si consumano in una rassegnazione santificata dagli anni". Dal basso arrivavano i suoni della città, con il tessile a fare da contrappunto alla prevalente industria rurale di Filettole, che aveva anche un fuoriprogramma con lo spazzacamino, pronto alla pulizia delle canne fumarie 24 ore su 24, cantilenando "spazzacamino ho freddo ho fame son poverino". Dalla città il suono delle sirene che ritmavano il fine lavoro, i rintocchi delle campane, i rumori del treno e del Bisenzio sottostanti, il richiamo mattutino del pescivendolo con la zucca piena d’acqua e dentro i pesciolini "di Bisenzio vivi". Vendemmia, trebbiatura, raccolta ulive, festa del maiale con i profumi della cucina erano gli appuntamenti vicendevoli dei vari casati da trasferire all’indomani al pissi pissi dei lavatoi dove si radunavano le massaie. Per lavarsi: l’acqua raccolta con la mezzina alla fonte. Per i bisogni corporali: una buca fuori casa con i passerotti che ti cantavano il buondì.
Ad accoglierti allora come oggi la meravigliosa Pieve, retta da don Guido Razzoli, figlio di Filettole come i suoi avi, che annotava memorie aggiuntive a quelle tramandategli fin dal 1672 in un volume dal titolo ’Libro dei ricordi per il signor pievano’ con copertina incartapecorita, pagine nitide scritte a mano in bella calligrafia, con inchiostro e pennino vecchia maniera dove si percorre la storia di Filettole e dell’antica Pieve. In un’intervista rilasciatami poca prima della morte avvenuta il 30 agosto 2018, (il pievano aveva retto la chiesa fin dal 4 gennaio 1953) mi raccontava, mostrandomi il nitore di una canonica incastonata fra gli orti con vòlte di intonsa bellezza accompagnandomi con un bastone di sostegno, il bombardamento dell’ultima guerra, da cui l’allora seminarista Razzoli si salvò rifugiandosi in una grotta vicina e la ricostruzione successiva.
"Ho scritto su questo volume - disse Razzoli - molto più degli altri parroci e le pagine stanno finendo. Il mio successore dovrà comprarne uno nuovo. Siamo 50 famiglie per circa 200 abitanti Ci conosciamo uno per uno ed ora che ho avviato la benedizione delle case di ogni quaresima, la cinquantaquattresima, li ritrovo tutti. Per alcuni ho celebrato battesimo, cresima, comunione e matrimonio. Tutta Prato è venuta a sposarsi quassù: io 3000 matrimoni, i miei predecessori almeno altrettanti. E’ stata questa anche la chiesa di Sem Benelli, che qui passò a Comunione". Dirimpetto alla Pieve la trattoria del Logli, il sacro e il profano che in quest’oasi convivono a meraviglia: le preghiere in chiesa; il rosario alla sera; pan con l’olio, bruschetta, finocchiona, formaggio all’osteria di allora, oggi ristorante prelibato, dove genitori e nonni si soffermarono con la fidanzatina per la merenda e andare poi ad adagiarsi sul plaid dei desideri nei campi vellutati di verde dove si respira la vita, con il rintocco delle campane benedicenti gli amplessi.