REDAZIONE PRATO

Rapito e picchiato. Ma l’estorsione non c’è. Condanna ribaltata per i tre aguzzini

L’Appello accoglie la tesi delle difese dei tre imputati riducendo le pene da 17 anni a tre e mezzo ciascuno. Per i giudici non ci fu "ingiusto profitto" ma si trattò di "esercizio arbitrario delle proprie ragioni".

Rapito e picchiato. Ma l’estorsione non c’è. Condanna ribaltata per i tre aguzzini

"Ribaltone" in Appello: da 17 anni di carcere a tre. E’ quello che hanno deciso ieri i giudici di Appello per i tre cinesi accusati di aver rapito e picchiato per tre giorni all’interno dell’hotel Luxory un connazionale a scopo di estorsione. Gli imputati, He Gencong, Lei Ronjiu e Wang Jie (difesi dagli avvocati Leonardo Pugi, Tiziano Veltri e Tommaso Magni) erano stati condannati in primo grado, con rito abbreviato, a 17 anni e quattro mesi con la pesante accusa di sequestro di persona a scopo di estorsione, reato che per competenza va alla Dda. Un pena severissima, seguendo la ricostruzione fornita dalla procura (il pm Nastasi aveva chiesto addirittura 20 anni di carcere). Ricostruzione dei fatti a cui i tre difensori si sono sempre opposti negando che vi fosse stata estorsione in quanto i tre volevano indietro i soldi prestati all’imprenditore. Non usarono metodi "ortodossi" – è vero –, ma non vi fu estorsione. La ricostruzione fornita dai legali ha convinto i giudici di Appello che ieri hanno condannato gli orientali a tre anni e sei mesi per sequestro di persona semplice ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Un vero e proprio ribaltone: una condanna ben diversa, 15 anni di carcere di differenza. Insomma, i cinesi hanno agito "alla loro maniera", abituati spesso a farsi giustizia da soli, soprattutto quando in ballo ci sono interessi economici. Non certo un comportamento giustificabile ma nemmeno da meritare una pena di quasi 20 anni.

Secondo quanto ricostruito dalle indagini, i tre avevano sequestrato il connazionale a Empoli nel gennaio del 2021. Lo avevano portato a Prato e lo avevano rinchiuso in una stanza dell’hotel Luxory di via Paronese. Lo avevano tenuto segregato nella camera dell’albergo per tre lunghi giorni e lo avevano picchiato. Schiaffi, pugni e cazzotti nel viso fino a rompergli il naso. Dopo tre giorni lo avevano liberato. La denuncia di scomparsa era partita da un parente della vittima allertato dalla moglie che si trovava in Cina. Il caso passò per competenza alla Dda che cominciò a indagare per sequestro di persona a scopo di estorsione. La stessa vittima aveva raccontato di aver avuto un debito nei confronti dei tre connazionali. Parlò vagamente di 38.000 euro. Un’ammissione importante su cui hanno fatto leva le difese in quanto la vittima stessa dichiarava di aver avuto quel debito, se di gioco o altro non è chiaro.

Secondo la tesi dei legali, i tre avrebbero dunque tentato di recuperare il denaro e non avrebbero sequestrato la vittima per estorcergli altri soldi. Non c’è l’"ingiusto profitto" che il reato di estorsione prevede ma più che altro si è trattato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Un particolare che ha fatto la differenza in quanto la pena è completamente diversa. Il solo sequestro di persona prevede pene che vanno da un minimo di sei mesi fino a un massimo di otto anni. Il sequestro a scopo di estorsione parte da un minimo di 25 anni. Fra i due reati ballando circa venti anni di differenza.

Laura Natoli