Nesi protagonista di una città in divenire "Aiutare la cultura è alimentare il domani"

All’autore Premio Strega è dedicata una parte del libro ‘Prato com’era’ che l’8 settembre sarà in regalo in abbinamento con La Nazione

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di Roberto Baldi

Rincorri Edoardo Nesi in mille modi, perché il tempo lo divora anche oggi che potrebbe starsene in pantofole alla televisione o a scrivere l’ennesimo libro che ha in preparazione e che i lettori aspettano con ansia. Quella sorta di pensione che anticipatamente si è dato non è per lui il permesso di arrugginire, ma un momento di creatività nuova in cui si è tuffato senza riserve con l’impegno di una storia meravigliosa, la storia della sua gente che scrive e riscrive in più volumi, ottenendo consensi ovunque a cominciare da quel Premio Strega che è l’Eldorado di chiunque si accinge a narrare. In tutta la produzione di Edoardo c’è la rabbia e l’amore della sua vita in Prato, prima e dopo aver venduto il 7 settembre del 2004 l’azienda di famiglia. Una storia della città in cui si è tuffata anche La Nazione, grazie al sostegno di Confindustria Toscana Nord, proponendo il libro ‘Prato com’era’ che sarà presentato mercoledì 7 settembre ore 18.30 al Giardino Buonamici (posti solo su invito perché numericamente limitati), da me scritto con in primo piano proprio un’intervista a Edoardo Nesi, come protagonista principale di una città in frenetico divenire. Il libro è nato dalla rubrica ‘Come eravamo’ che da gennaio a giugno ogni domenica è uscita sulle pagine del La Nazione. E dalla stessa rubrica nascerà anche un secondo volume, a fine ottobre, a perpetuare una storia di Prato che Fernand Braudel, su incarico dell’allora sindaco Landini, racchiuse in più volumi e che Nesi ha raccolto in maniera sontuosa nei suoi affreschi librari.

Pronti a pagarti i diritti di autore Edoardo: ti abbiamo imitato.

"E’ un’iniziativa che mi garba molto, perché tutti insieme illustriamo Prato, perché la tua penna, Roberto, ha il pregio della compostezza e del rispetto del passato; perché a monte c’è l’avallo anche dell’imprenditoria cui va dato il merito in questo caso di aver saputo valorizzare le istanze culturali della città, offrendo attraverso l’individuazione di personaggi, accadimenti, luoghi, un combustibile per capire il vissuto e quello che ci resta nel presente".

L’industria deve aprirsi anche a queste istanze?

"Deve. Questa città avrà un privilegio in più quando potrà ammettere di essere cambiata, di aver subito una brutale sconfitta sul piano industriale quando abbiamo tirato giù molti bandoni e si sono ammutolite le sirene di fabbrica. E’ rimasto fortunatamente qualche esempio importante dell’imprenditoria tradizionale, ma l’occhio deve indirizzarsi anche ad altre forme espressive e remunerative. Dare una mano alla cultura e a iniziative come questa è alimentare il domani. Cultura e analisi del passato significano anche creare una coscienza civile, disciplinare il proprio interiore, prendere coscienza del proprio valore storico, della propria funzione nella vita. Una cosa utile da ricordare è che la cultura è strettamente legata alla coltivazione, con la quale condivide la radice etimologica che significa "coltivare la terra".

Ma ne soffre il busco come si dice a Prato.

"Io credo invece che il profitto, emblematico del nostro senza lilleri non si lallera o del detto di mia nonna senza il guadagno ogni bel monte scema, possa alimentarsi anche attraverso nuove forme di investimento che Prato deve inventarsi, mantenendo il suo impegno tradizionale nel tessuto ma diversificandolo anche nel verde e nella sostenibilità ambientale, che sta a significare la condizione di uno sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente, senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri".

Molti suggeriscono di rifugiarsi nel cosiddetto lavoro di nicchia: bisogna fare come la Ferrari, come Giorgio Armani...

"Ho grande rispetto per i miei ex colleghi imprenditori, che sfruttano questo nuovo, grande interesse internazionale nel riciclo, ma non chiamiamolo lavoro di nicchia che nel vocabolario Devoto-Oli sta a significare uno spazio particolare e circoscritto. Prato ha le risorse per guardare al proprio lavoro tradizionale con prodotti di eccellenza, anche se i cinesi ce li copiano in quattro e quattrotto, e per forme nuove d’impegno produttivo, abbandonando la prosopopea e l’orgoglio gratuito".

A proposito di cinesi: è finito il tempo di cinesi sì, ma non così?

"E’ finito, perché ormai fanno parte della nostra cultura, del nostro tessuto lavorativo, del domani, a patto che il nostro sforzo di integrazione riesca a dissolvere la loro tradizionale diffidenza e sospettosità. Al presidente Gestri ai tempi della provincia suggerii di immetterli nelle nostre Associazioni culturali, perché la cultura è sempre il primo strumento della cooperazione fra i popoli".

Chiuderesti oggi di nuovo la fabbrica?

"Domanda interessante, Roberto. Quasi impertinente. So meglio scrivere che fare i tessuti, ma scrivo anche per esorcizzare la nostalgia del passato. Arrivederci a mercoledì".