REDAZIONE PRATO

Mistero Buffo secondo Martelli Da non perdere

Al Politeama venerdì sera il capolavoro di Dario Fo. Sul palco l’erede artistico del premio Nobel

Mistero Buffo secondo Martelli Da non perdere

È una pietra miliare nella storia del teatro italiano, un’opera universale che rivive nel talento di un giovane e già affermato attore riconosciuto da Dario Fo come suo erede artistico poco prima di morire. Matthias Martelli e la sua reinterpretazione di Mistero Buffo aprono le danze di una nuova mini rassegna di quattro spettacoli intitolata Ridere sul serio, ispirata alla leggerezza e al divertimento intelligente nell’anno del centenario della nascita di Italo Calvino. Quello che andrà in scena venerdì (alle 21), per la regia del compianto Eugenio Allegri, non sarà solo un omaggio al premio Nobel e al suo capolavoro ispirato alla tradizione del teatro medievale e alle giullarate in grammelot: la sfida coraggiosa dell’attore originario di Urbino ma cresciuto artisticamente a Torino è far rivivere l’opera oltre il suo indimenticabile autore-interprete, lasciando un’eredità per le giovani generazioni. Lo spettacolo più famoso della coppia Fo-Rame viene riadattato da Martelli con molti richiami alla contemporaneità e una satira che non smette mai di trascinare le platee, rinverdita dalle doti di affabulatore generoso qual è Martelli che passa in un lampo dal lazzo comico alla poesia, fino alla tragedia umana e sociale giocando con i fonemi dialettali e le onomatopee del grammelot. Correva il 1° ottobre 1969 quando fu portato in scena per la prima volta Mistero Buffo. A distanza di oltre mezzo secolo quello spettacolo, cui il Premio Nobel continuò a lavorare tutta la vita, torna in palcoscenico. Replicata migliaia di volte (persino negli stadi), declinata in differenti versioni e allestimenti, l’opera che ha segnato la storia del teatro italiano è innanzitutto la possibilità di ritrovare una visione della storia fatta dal popolo: in questo contesto “il giullare” era il giornale parlato del popolo.

Attraverso la sua voce il popolo parlava direttamente, demistificando il sacro e il potere, utilizzando l’arma del riso e del grottesco. La scommessa di Martelli affonda dunque le sue radici in una forma di teatro che passa continuamente dalla narrazione all’interpretazione dei personaggi, trasformandoli all’occorrenza dal servo al padrone, dal povero al ricco, dal santo al furfante, restituendo dignità ai poveri e agli oppressi.