"Mattarella io l’ho votato Sul patto saltato del Nazareno il dubbio resta: poteva servire"

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In un percorso lungo dieci anni, stare in Parlamento diventa quasi una routine quotidiana, e si perde un po’ il senso della solennità di quelle aule, soprattutto se si ha a che fare con chi voleva aprirle come una scatoletta di tonno. Ma l’elezione del presidente della Repubblica è qualcosa di profondamente diverso, perché lì si respira la storia. Nella passata legislatura è successo addirittura due volte, e va dunque considerato un privilegio esserci stati. Lo dico senza pudore: nel 2013 per noi fu un autentico spettacolo da pop-corn, visto che Bersani riuscì a mandare allo sbaraglio prima Marini e poi Prodi, silurato dalla leggendaria carica dei 101. L’elezione di Mattarella invece si trasformò in uno psicodramma soprattutto per Forza Italia. Il Patto del Nazareno si era infatti già incrinato, non solo per una fronda dentro il partito sempre più agguerrita, ma soprattutto perché Berlusconi non si fidava più di Renzi e viceversa.

La trattativa per il Quirinale era partita quindi sotto i peggiori auspici, con il vertice decisivo finito in un nulla di fatto, per cui le votazioni cominciarono totalmente al buio, secondo le peggiori tradizioni repubblicane. Il centrosinistra, nonostante il sostanziale pareggio alle politiche, disponeva della maggioranza parlamentare grazie a uno smisurato premio di maggioranza, ma a Berlusconi era stata concessa – molto virtualmente, come si sarebbe visto – la facoltà di pescare il più gradito da una rosa di nomi d’area gradito, e la scelta cadde su Giuliano Amato, che era per combinazione anche il preferito di D’Alema, ossia l’arcinemico di Renzi. Il quale, allora potentissimo segretario premier, fece quindi saltare il tavolo puntando su Mattarella, la carta vincente che aveva nel taschino da tempo.

Addio Nazareno, dunque, anche se un gruppo di forzisti, tra cui il sottoscritto, lo votò. E non me ne pento, perché alla prova dei fatti è stato un grande presidente, chiamato ad arginare prima la deriva populista grillina, e poi a decidere il commissariamento della classe politica per uscire da una pandemia che ha lasciato le macerie di una guerra. Onore al merito, dunque. Ma resta il dubbio di come sarebbe cambiata la storia d’Italia se il Cavaliere e il Rottamatore, in quel fatidico 2015, non avessero rotto il Patto sulle riforme istituzionali. Forse, ma non c’è controprova, almeno la loro storia politica sarebbe cambiata in meglio.

Riccardo Mazzoni

Giornalista

Ex parlamentare centrodestra