di Luigi
Caroppo
Troppe volte disastri e tragedie fanno aprire gli occhi sulla realtà esistente. Come se chi fosse chiamato a conoscerla a fondo, da sempre, tutto d’un tratto scoprisse le cose come stanno.
Dopo il rogo di Calenzano al deposito Eni si è aperto un dibattito sul futuro della Piana che va da Firenze a Prato fino a Pistoia, l’area della Toscana centrale. La più produttiva e il bacino di voti più grande che solitamente sposta l’andamento delle elezioni sovracomunali.
Due autostrade che si intersecano, un aeroporto in attesa di sviluppo, un sistema di collegamenti su gomma e su ferro ancora non totalmente efficiente. E soprattutto insediamenti produttivi. Tre macrolotti a Prato, l’area industriale di Montemurlo, dell’Osmannoro e di Scandicci. Dopo aver scoperto con l’alluvione corsi tombati e torrenti mal tenuti, la strage di Calenzano ci ha fatto aprire gli occhi su un deposito nato in aperta campagna e via via urbanizzato: vicino ci sono capannoni produttivi, attività sportive, negozi, case.
E allora è giusto fermarsi a riflettere come mai intorno al terminal dell’oleodotto che parte da Livorno si è permesso di costruire così tanto. Ed è giusto domandarsi, anche se è stata una tragedia a provocare l’interrogativo, se uno sviluppo del genere sia compatibile con luoghi e produzioni che sono sottoposti alla direttiva Seveso.
Ci aspettiamo anche su questo fronte risposte nuove, decisioni e provvedimenti, approfondimenti e analisi, che vadano lungo il sentiero della sicurezza. Di tutti. Di chi lavora, di chi abita, di chi si muove in aree ’sensibili’. Anche così si dà forza a quella cultura della sicurezza richiesta a gran voce in questi giorni di rabbia e dolore.