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"Giorni felici" Il genio Beckett al Metastasio

Debutto in prima nazionale dello spettacolo diretto da Civica. E’ una produzione del Met

Si torna a teatro con il debutto in prima nazionale di una delle produzioni del Metastasio: dal 16 al 20 marzo (20.45 feriali; 19,30 sabato e 16,30 domenica) va in scena "Giorni felici" di Samuel Beckett con la traduzione di Carlo Fruttero. La regia dello spettacolo è di Massimiliano Civica, direttore della Fondazione Metastasio. Roberto Abbiati e Monica Demuru sono gli attori che interpretano il dramma in due atti pubblicato nel 1962, uno dei testi di snodo del teatro beckettiano. "Credo che Giorni felici sia un dialogo, un tentativo di dialogo, la struggente ’nostalgia’ e il ’sogno’ di un parlarsi; un’apparente ininterrotto monologo interiore che è, in realtà, un disperato cercare, a tentoni e alla cieca, la parola giusta per incontrare l’altro", scrive Civica nelle sue note di regia. Le scende sono di Roberto Abbiati, i costumi di Daniela Salernitano e le luci sono curate da Gianni Staropoli. In "Giorni felici" una donna (Winnie) è sepolta dentro un monticello di sabbia, prima fino al busto, poi fino al collo. Suo marito (Willie) vive in una cavità del cumolo di sabbia, alle spalle della moglie. "Quel monticello di sabbia è il colpo di genio di Beckett: una volta accettate le sue ’assurde’ premesse (che una donna viva in un deserto bloccata dentro un cumolo di sabbia con accanto un marito a mobilità ridotta), ci troviamo davanti a un testo realista, ad una situazione e a un rapporto tra i personaggi improntati ad una assoluta ’banale’ quotidianità", prosegue Civica. Per il regista, quindi l’"assurdo di Beckett è nella montagnola, nella scelta della situazione fisica iniziale, non nei personaggi o in quello che si dicono. E la montagnola, per me, non è una metafora, ma un ’corrispettivo oggettivo’ di uno stato dell’anima e di una sensazione in cui ci sentiamo immersi". Secondo Civica, "Beckett ’estroflette’ all’esterno una condizione esistenziale, la traduce fisicamente per renderla evidente sulla scena: siamo tutti bloccati, incapaci di guardarci negli occhi, di avanzare verso l’altro, tutti alla ricerca disperata di un contatto che ci faccia sentire meno soli".

Sa.Be.