Le due settimane di ferie dalla specializzazione in geriatria che sta portando avanti a Careggi, anche se da qualche tempo è all’ospedale di Pistoia, le ha trascorse come medico volontario per la Croce Rossa in prima linea all’hotspot di Lampedusa. Giulia Nicolaio, pratese di 29 anni, ha gettato il cuore oltre ogni ostacolo e non si è tirata indietro nelle quattro notti di turno e nel prestare soccorso sanitario, una parola di conforto, un sorriso e un abbraccio ai tanti migranti che nelle ultime settimane sono sbarcati sull’isola. "Ho sempre fatto molto volontariato e sono una volontaria della Croce Rossa di Prato ormai da anni. Non ci ho pensato, ho scelto di partire". Giulia ha voluto essere in prima linea anche quando, fresca di laurea nel marzo 2020, in piena pandemia da covid, ha voluto dare il proprio contributo all’emergenza sanitaria del secolo. "Non potendo esercitare come medico, ho prestato la mia opera come volontaria per effettuare i tamponi a domicilio", racconta.
Come è iniziato il servizio a Lampedusa?
"Tramite il gruppo whatsapp della Croce Rossa ho saputo che stavano cercando medici e volontari per l’hotspot per il centro accoglienza migranti. Mi sono subito candidata come medico. Sono scesa giù nelle prime due settimane di agosto come medico volontario della Croce Rossa".
E’ stata quindici giorni sull’isola. Sono stati impegnativi?
"Molto. Ci sono stati molti sbarchi in quei giorni perché le condizioni del erano sono favorevoli. Ci sono stati giorni in cui si sono contate anche 2.000 persone, quando il centro può ospitare fino a 600 migranti. Una situazione complessa per tutti, sia per noi operatori che per chi arrivava dopo il viaggio in mare. Posti in piedi in paradiso, dunque, ma ce l’abbiamo sempre fatta a gestire il flusso di migranti".
Come era organizzata la giornata n di lavoro?
"All’interno dell’hotspot, c’è una piccola infermieria. Qui facciamo un primo soccorso e giungono coloro che sono stati già triagiati dal medico sulla banchina. Molte persone presentano scabbia, forti dolori per il viaggio in mare, colpi di calore, ustioni da sole o carburante. Noi facevamo interventi rapidi e piccole medicazioni, mentre i casi più complessi, come per esempio per le donne in gravidanza, si mandavano a fare una prima valutazione al poliambulatorio, mentre quando ci trovavamo di fronte a casi gravissimi facevamo richiesta di partenza immediata con elisoccorso. I turni all’infermeria dell’hotspot si svolgevano un po’ come all’ospedale. In due settimane ho fatto 4 notti, tra di noi medici ci si aiutava sempre. Le notti in cui c’era molto vento, si sapeva che non ci sarebbero stati sbarchi, ma in quelle notti calme si poteva assistere a flussi ininterrotti di migranti. In un turno di 6 ore ho visto fino a 300 persone. E allora non c’era tempo neppure per pensare".
Ci sono storie particolari che si è portata a casa?
"Tante. I bambini sono incredibili. Quelli più grandicelli vogliono giocare e quando fai una medicazione o curi la loro mamma, o fai una battuta, mandano i baci, ti abbracciano. Li porto nel cuore. Ma nell’hotspot ci sono momenti durissimi, che mettono a dura prova il fisico e lo spirito di tutti coloro che lavorano".
Ad esempio?
"La situazione che mi ha colpita di più a livello emotivo è avvenuta durante una delle mie notti, quando c’è stato un naufragio. Non ci si aspettavano sbarchi. Quella notte non c’era il tempo giusto per una partenza. Probabilmente la barca è stata fatta partire ugualmente dalla Tunisia perché il mare forse là era più calmo. Quella notte sono arrivati 57 naufraghi, infreddoliti e sotto choc perché sapevano che gli altri passeggeri non ce l’avevano fatta. Come un bimbo di 11 mesi e una donna incinta, moglie di un ragazzo che invece era sopravvissuto".
Germogliano anche storie che danno fiducia, a Lampedusa?
"Sì, certo. Una mi è entrata nel cuore: un ragazzino di 16 anni mentre lo medicavo mi disse in francese: ’Te sei il dottore. E lo sai che sono venuto via dal mio paese perché voglio studiare medicina?’ A questo punto mi sono proprio emozionata".
Sara Bessi