Bimbo salvato: l’orgoglio della dottoressa "La mia intuizione non è arrivata per caso"

E’ lei ad avere avuto l’idea giusta di fronte al caso di epatite approdato in ospedale: "Rompicapo risolto solo grazie al lavoro di squadra"

PRATO

"Avevo letto un articolo scientifico che parlava della crescita dei casi di epatite acuta pediatrica in Gran Bretagna. Un articolo che ho condiviso con il gruppo dei colleghi di pediatria proprio nei giorni in cui stavamo cercando di trovare la causa della patologia, rapida e aggressiva, che stava colpendo un bambino ricoverato nel nostro reparto. E’ stato quell’articolo a farci pensare che potessimo trovarci di fronte a una epatite acuta sconosciuta". La dottoressa Francesca Bechi, pediatra all’ospedale Santo Stefano dal 2012, è stata la prima a sollevare il dubbio che il bambino di 3 anni, ricoverato con febbre e difficoltà respiratorie, potesse essere stato colpito da quel tipo di epatite acuta diffusa proprio fra i bambini, specialmente nel Regno Unito. Una ipotesi che la dottoressa Bechi ha condiviso con il resto dell’equipe di pediatria del Santo Stefano, diretta da Pier Luigi Vasarri. Una intuizione che sicuramente ha contribuito a salvare la vita al piccolo che, dopo un primo trasferimento al Meyer di Firenze, ancora oggi si trova ricoverato in un reparto ordinario all’ospedale pediatrico Bambino Gesù a Roma, dopo alcuni giorni trascorsi in terapia intensiva. Per lui è comunque scongiurata la necessità del trapianto di fegato. "La nostra preoccupazione è scattata quando le condizioni del bambino si sono aggravate rapidamente - racconta - Al momento del cambio turno abbiamo rivalutato le sue condizioni insieme agli altri colleghi". Come riferito nei giorni scorsi dal primario, , le condizioni del piccolo sono peggiorate il giorno successivo al ricovero, avvenuto martedì della scorsa settimana, quando sono comparsi dolori all’addome, transaminasi molto alta, ma negatività alle epatiti più comuni, quelle che vanno dalla A alle E. Un rompicapo per il quale i medici, tutti insieme, si sono adoperati nel cercare la soluzione giusta. E a quel punto ecco arrivare la diagnosi risolutiva. Un risultato che inevitabilmente sottolinea uno dei punti di forza della pediatria: il lavoro di squadra.

"Sul caso ci siamo confrontati con i colleghi del Meyer, nostro centro di riferimento, e insieme abbiamo valutato quello che c’era da fare sul momento - prosegue Bechi - Il peggioramento, avvenuto in maniera repentina, delle condizioni di salute del bambino e la presenza di valori molto alti delle transaminasi, ci hanno convinti di essere di fronte a un caso non comune di patologia. Proprio una delle epatiti dalle cause misteriose di cui si parla in questo periodo". Un episodio che evidenzia come il Santo Stefano possa contare su professionisti molto aggiornati, sebbene non sia un ospedale a specializzazione pediatrica. "Puntiamo molto sulla formazione e sull’aggiornamento - conclude Bechi - . E inoltre è importante la collaborazione con il Meyer e con i suoi specialisti per individuare le soluzioni migliori per i nostri pazienti".

Sara Bessi