Giallo di Querce, "Marinella maltrattata con una forza brutale"

Ma per il giudice il marito Giacomo Benvenuti (18 anni di carcere) non è un omicida: "Si è comportato come tante altre volte"

Marinella Bertozzi

Marinella Bertozzi

Santa Croce sull'Arno, 12 novembre 2016 - Per il giudice siamo davanti ad un uomo non «consapevole della gravita dei suoi gesti» che si approcciava alla moglie con un fare «sempre e comunque maltrattante». Ma non c’è evidenza della volontà di uccidere nella sua condotta. Sono questi alcuni cardini delle motivazioni della sentenza del giudice del tribunale di Firenze Paola Belsito che il 2 agosto scorso, con rito abbreviato, ha condannato Giacomo Benvenuti, 41 anni, operaio conciario di Santa Croce, a 18 anni di carcere per la morte della moglie Marinella Bertozzi, trovata priva di vita il 30 ottobre 2014 nella casa di Querce di Fucecchio. Il giudice l’ha ritenuto colpevole di morte come conseguenza del reato di maltrattamenti. Motivazioni che per ora i Bertozzi non vogliono commentare. Neanche Roberto, imprenditore conciario, il fratello di Marinella, che con la sua denuncia contro ignoti, la mattina successiva alla morte della donna, fece partire le indagini che in quattro mesi inchiodarono il marito. Roberto, questa sentenza, la definì subito «troppo lieve»: il pm Sandro Cutrignelli aveva chiesto l’ergastolo.  «In realtà Benvenuti, il 30 ottobre 2014, si è comportato né più ne meno come si era comportato tante altre volte, quando sembrava la volesse scannare, quando la umiliava, quando la picchiava ripetutamente senza pietà – scrive il giudice – Non vi è evidenza alcuna in lui di volontà omicida, e neppure è sufficiente affermare che egli aveva così tanto picchiato quel giorno che non poteva non essersi reso conto di quel che stava facendo per affermare che è proprio così, e che si deve ipotizzare il delitto di omicidio volontario». «Perché in realtà non è così – aggiunge il giudice – nell’audio in atti Marinella dimostra di essere in grado di “sopportare“ molto, e di sapere e volere tacere, e in questo certamente è aiutata dall’utilizzo di farmaci e alcool, che attenuavano la sua capacità di reazione e percezione della realtà».  Marinella aveva 50 anni quando, quella sera, ricevette una brutale scarica di botte: «i maltrattamenti inferti alla vittima - scrive il giudice - sono stati disumani e degradanti, la violenza spesa nei confronti di Marinella è stato puro esercizio di forza brutale, che ha fondato le proprie radici e ha approfittato della incapacità di reagire, di difendersi, di impedire che ciò accadesse, di chiedere aiuto da parte della vittima». Il penalista Francesco Stefani, che difende l’imputato, ancora prima di un esame approfondito della sentenza, annuncia appello perché continua a ritenere illegittimo il cd sonoro sentito in aula a documentare le botte del suo assistito nei confronti della moglie. E perché chiarezza la chiederà anche sui profili di Dna trovati sotto le unghie di Marinella, «appartenenti a tre soggetti diversi dall’imputato e, in un caso, anche di quantità maggiore».