Omicidio di Mara, il compagno deve scontare sette anni di carcere

Capannoli, Alfredo Di Giovannantonio è stato rietnuto dlala Corte di Cassazione colpevole in via definitiva di omicidio preterintenzionale

I familiari di Mara Catani mentre escono dal tribunale

I familiari di Mara Catani mentre escono dal tribunale

Capannoli, 18 maggio 2018 - Alla fine la giustizia ha fatto il suo corso. La Corte di Cassazione ha chiuso definitivamente il cerchio della penale responsabilità sulla morte di Mara Catani Nieri, trovata cadavere nel giardino di casa, a Capannoli, il 26 aprile del 2013: il responsabile di quella morte fu l’uomo che era il suo compagno, Antonio Di Giovannantonio, camionista originario di Zambra, colpevole di omicidio preterintenzionale. Di Giovannantonio dovrà scontare 7 anni di reclusione, tanti quanti gliene aveva dati la Corte d’assiste del tribunale di Pisa (presidente Luca Salutini) e quanti ne aveva confermati il secondo grado di giudizio a Firenze. L’arresto del 44enne, padre di un bambino avuto con la vittima, potrebbe avvenire già nei prossimi giorni. La sentenza della Suprema Corte è arrivata nella tardissima serata di martedì quando gli ermellini, in camera di consiglio, dopo aver sentito la discussione tra la parti conclusasi in mattinata, hanno validato in toto quando stabilito dalla Corte d’appello, la cui sentenza era stata impugnata dai difensori dell’imputato. L’avvocato Giuseppe Carvelli, difensore del Di Giovannantonio fin dal primo grado, dice: «Resto assolutamente convinto della mancanza della prova certa per condannare l’imputato oltre ogni ragionevole dubbio. Noi chiedevamo un altro processo – spiega –. Anche alla luce di molte contraddizioni emerse nel primo grado e aumentate nel secondo. La Corte di Cassazione ha pensato diversamente, ma prima di entrare nel merito dobbiamo leggere le motivazioni». «Ho sentito l’imputato – conclude Carvelli –. E’ a pezzi, sconcertato, come del resto lo siamo noi».

I familiari della vittima, parte civile in tutto il percorso giudiziario, sono stati assistiti dall’avvocato Rolando Rossi. Mara Catani Nieri, 42enne al momento del decesso, fu trovata morta alla prime luci dell’alba. A trovarla fu lui, il compagno. Fu lui a chiamare i soccorsi per poi contraddirsi più volte – secondo i giudici – sul copione di quella notte. Ad incastrarlo sono state in particolare le intercettazioni telefoniche. La donna morì per una molteplicità di lesioni frutto di colpi infertile, oltre che della caduta del corpo in avanti: «accidentale, o, più verosimilmente, determinato da una spinta», avevano scritto i giudici’appello. La donna venne trovata senza scarpe, con i jeans abbassati, la maglietta sollevata sulla pancia. Ma non può essere stato il trascinamento a farla ritrovare cosi. Sarebbe stata quindi una messa in scena. «L’imputato ha dunque volontariamente disposto il vestiario della compagna in modo tale da far sospettare un’aggressione a scopo sessuale», è scritto nella sentenza d’appello vidimata ora dai giudici di legittimità.

Così come aveva fatto trovare la casa apparecchiata, come se la sera precedente la morte della donna, tutto si fosse svolto in un clima di serenità: cena in casa, poi tutti a letto e infine la drammatica scoperta della compagna cadavere in giardino. Ma non fu così. Quella sera i due erano a Calci, da amici. Avevano litigato, lui l’aveva picchiata, l’aveva lasciata agonizzante ed era andato a dormire dopo che entrambi a cena avevano bevuto più del dovuto. Lui raccontò che all’alba, quando si era svegliato, l’aveva trovata morta e quindi tutto – secondo quello che avrebbe cercato di far credere fin dall’inizio – sarebbe successo mentre dormiva. Invece avevano litigato in preda all’alcol e lei rimase, gonfia di botte, a morire da sola