Roma, 9 giugno 2025 – “Piazze piene, urne vuote”. Niente come il susseguirsi tra il fondato entusiasmo della manifestazione per Gaza e la più cogente delusione della consultazione referendaria per confermare una delle sindromi storiche della sinistra italiana che ricorre sin dalle partecipatissime elezioni perse nel 1948. Ma così è. Al netto delle professione di vittoria o di flop, che dividono sempre e soprattutto il Pd, “non si può pensare che il popolo del centrosinistra siano le decine di migliaia che vengono in piazza o chi vota nella grandi città, che rappresentano solo un terzo di tutti elettori”, come nota un autorevole dirigente del Pd. Che continua a dover “ridimensionare” la presenza delle sezioni nel territorio, ma che forse tv e social non sostituiscono.

Due giorni dopo la sfilata per Gaza, voluta proprio alla vigilia del voto, la maggior parte del centrosinistra si ritrova unito nel rivendicare come un successo i 14 milioni di partecipanti al voto, considerati un “viatico” in vista delle politiche dalla segretaria del Pd Elly Schelyn, insieme a Giuseppe Conte e gli alleati di Avs, Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli. Mentre i centristi Carlo Calenda e Matteo Renzi rilevano il fallimento della consultazione, esortando a guardare avanti. Un orizzonte su cui il campo largo appare strabico, come del resto lo era sulle ragioni della consultazione. Una divisione politica di prospettiva irrisolta che rischia soprattutto di ripercuotersi sull’eventuale via libera al terzo mandato da parte della maggioranza, che potrebbe far salare la corsa alla riconquista della Campania ago della bilancia delle regionali di autunno.
Da “avviso di sfratto” alla premier Giorgia Meloni, il 30% di partecipazione al referendum si è dimostrato l’insuccesso che è per le ragioni del lavoro precario, della sicurezza e della cittadinanza. Consultazione persa capo ha. Il campo largo continua tuttavia a cantare vittoria anche a scapito dell’ammissione di sconfitta da parte sindacale. Oltre ai calcoli di Francesco Boccia, che aveva stabilito “l’avviso di sfratto” a Meloni a quota 12 milioni e si compiace dei 14 che pongono le questioni del lavoro, anche la segretaria Schlein conteggia “più elettori di quelli che hanno mandato Meloni al governo nel 2022” e rimanda “alle prossime politiche”. Stesso refrain per Conte: “Se vi sembrano numeri insignificanti – dice il leader 5 stelle – considerate che è lo stesso numero di votanti con cui la maggioranza Meloni è arrivata al governo”. Mentre Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni di Avs riprendono le parole della Cgil considerando il risultato un punto di partenza.
Sennonché è proprio dalle file del Pd che partono gli strali più acuminati nei riguardi di quello che viene addirittura definito “un flop”, come contestano sull’onda dell’entusiasmo gli esponenti più intemperanti della minoranza riformista.
Un atteggiamento che in realtà non piace per niente a dirigenti di Energia popolare e delle altre minoranza, che vogliono incassare senza esasperare lo scontro con la leadership. Difatti il presidente dem Stefano Bonaccini si limita a esortare a “una riflessione”. Che del resto dovrebbe essere già alle viste vista in occasione della prevista Assemblea nazionale prevista per fine giugno o inizio luglio. Ma già incombono le regionali. E soprattutto il rischio che il governo apra al terzo mandato lasciando in sella Vincenzo De Luca in Campania; con Pd, 5 stelle e Avs che ormai si sono spinti troppi su Roberto Fico. La cruna dell’ago verso le politiche.