LUCA BOLOGNINI
Politica

Fac simile referendum 2025, schede e quesiti: la guida definitiva (con la spiegazione semplice)

Appuntamento con le urne l’8 e 9 giugno. Come si vota, cosa serve per andare al seggio e gli orari. Spieghiamo cos’è il quorum, cosa succede se vince il sì o il no/astensione, quali sono le ragioni di favorevoli e contrari e le indicazioni dei principali partiti italiani

Fac simile referendum 2025, schede e quesiti: la guida definitiva (con la spiegazione semplice)

Roma, 5 giugno 2025 – L’8 e il 9 giugno gli italiani saranno chiamati a votare cinque referendum abrogativi, cioè che chiedono di eliminare norme esistenti. Quattro quesiti interessano il mondo del lavoro, mentre l’ultimo affronta il nodo dei tempi per ottenere la cittadinanza italiana. Per essere ritenuto valido, ogni quesito dovrà raggiungere il quorum del 50% +1 degli aventi diritto. Per questo l’affluenza giocherà un ruolo decisivo. Ecco una guida semplice e definitiva su come si vota, quali sono i quesiti, cosa succede se vince il sì o il no/astensione, quali sono le ragioni di chi vuole votare sì o no/astensione, quali sono le posizioni dei principali partiti italiani.

Focus – Come, quando e cosa si vota al referendum 2025

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Orari referendum 2025: quando aprono e chiudono i seggi

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Sommario

Quando si vota

Le urne saranno aperte domenica 8 giugno dalle 7 alle 23 e lunedì 9 giugno dalle 7 alle 15. Ogni elettore riceverà fino a 5 schede di colore diverso, una per ciascun quesito, con opzioni "sì" o "no". È possibile anche decidere di ritirare solo alcune delle schede (per limitare l’affluenza sui quesiti che non si vogliono far passare). Gli italiani residenti all’estero iscritti all’Aire (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero) possono votare per corrispondenza, mentre i fuori sede possono votare nel comune di domicilio temporaneo, se ne hanno fatto richiesta entro il 5 maggio 2025. Per votare, bisogna presentarsi al proprio seggio con la tessera elettorale e un documento di identità valido.

Come si vota

Una volta al seggio, ciascun elettore potrà esprimersi sulle schede che avrà ritirato. L'espressione del voto avviene tracciando un segno all’interno del rettangolo che contiene la risposta prescelta (sì o no) con la matita fornita dagli scrutatori. Votando si manifesta la volontà di abrogare il testo della norma sottoposta a referendum. Votando no si esprime la volontà di non abrogare la norma, mantenendola quindi in vigore.

I quesiti

Ecco i cinque referendum su cui saremo chiamati a esprimerci, con la spiegazione semplice del quesito, le conseguenze della vittoria del sì e del no, le ragioni dei favorevoli e dei contrari e le indicazioni dei maggiori partiti italiani.

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Referendum 8 e 9 giugno 2025: le posizioni dei partiti

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Jobs Act, scheda verde chiaro

Cosa si vota: il referendum chiede di cancellare la disciplina del contratto a tutele crescenti introdotto nel Jobs Act e successive modifiche, per tornare di fatto alla legge Fornero.

Cosa succede se vince il sì: molti dei lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015 nelle imprese con più di 15 dipendenti riavranno il diritto al reintegro in caso di licenziamento illegittimo.

Cosa succede se vince il no o l’astensione: la norma resta invariata e non cambia nulla rispetto a oggi: i licenziamenti ingiustificati verranno sanzionati con un risarcimento economico (6–36 mensilità, le famose ‘tutele crescenti’), mentre il reintegro è previsto solo in casi molto specifici (licenziamento discriminatorio, maternità, congedo matrimoniale). Il Jobs Act e le successive modifiche restano quindi in vigore.

Le ragioni del sì: i promotori sostengono che oltre 3,5 milioni di lavoratori assunti dopo il 2015 siano oggi penalizzati da una legge che impedisce il reintegro anche in caso di licenziamento giudicato ingiusto. Il reintegro automatico ridurrebbe la precarietà e costringerebbe le imprese a fare assunzioni più stabili.

Le ragioni del no e dell’astensione: i contrari affermano che l’attuale regime rende il mercato del lavoro più flessibile e sostenibile per le imprese. Imprese che potrebbero essere scoraggiate a fare nuove assunzioni se dovesse vincere il sì. Chi voterà no o si asterrà sottolinea che si tornerebbe di fatto alla legge Fornero, senza rafforzare realmente la stabilità del lavoro, se non nel caso dei licenziamenti collettivi (che sono una piccola frazione dei licenziamenti per motivi economici). In alcuni casi, come quello del licenziamento per motivo economico ritenuto insufficiente, ci sarebbe addirittura una riduzione delle tutele, con l’indennizzo che passerebbe da 36 a 24 mesi.

Le indicazioni dei partiti

Astensione: Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia

No: Azione, Italia Viva, Noi Moderati e +Europa

Sì: Pd, M5s e Avs

Indennità di licenziamento, scheda arancione

Cosa si vota: si chiede di eliminare il limite massimo di 6 mensilità (in alcuni specifici casi 14) di risarcimento attualmente in vigore nelle imprese che hanno al massimo 15 dipendenti.

Cosa succede se vince il sì: il tetto delle 6-14 mensilità viene cancellato. Sarà il giudice a stabilire liberamente l’indennizzo in caso di licenziamento illegittimo in piccole imprese.

Cosa succede se vince il no o l’astensione: il limite resta invariato a 6-14 mensilità. Nulla cambia e il risarcimento massimo rimarrà quello previsto dalla legge attuale.

Le ragioni del sì: i promotori affermano che circa 3,7 milioni di lavoratori delle piccole imprese sarebbero più tutelati. Eliminando il tetto “sarà il giudice a determinare il giusto risarcimento”, senza limiti legali, ma comunque entro quelli civilistici della prova del danno effettivo subito dal lavoratore per il licenziamento ingiusto.

Le ragioni del no e dell’astensione: i contrari sostengono che l’indennizzo dovrebbe essere sempre prestabilito per evitare lunghi e costosi contenziosi, che danneggerebbero soprattutto le piccole imprese, già fragili economicamente. La paura è quella di rendere il mercato del lavoro ancora più rigido, con conseguenze negative sull’occupazione.

Le indicazioni dei partiti

Astensione: FdI, Lega e Fi

No: Noi Moderati, Azione, +Europa

Sì: Pd, M5s e Avs

Libertà di voto: Italia Viva

Contratti a termine, scheda grigia

Cosa si vota: si chiede di reintrodurre l’obbligo di indicare una motivazione (causale) anche per i contratti a termine di durata fino a 12 mesi.

Cosa succede se vince il sì: torna l’obbligo di motivare ogni contratto a termine (e relativi rinnovi/proroghe) anche per durate inferiori a 12 mesi. Si reintroduce cioè la necessità di una causale specifica (ad es. sostituzione di maternità, esigenze tecniche, organizzative o produttive, ecc.) anche per i contratti brevi.

Cosa succede se vince il no o l’astensione: rimane la normativa attuale. Nulla cambia e si potrà stipulare un contratto a termine fino a 12 mesi senza causale.

Le ragioni del sì: i promotori puntano a “limitare il ricorso ai contratti a termine per ridurre la piaga del precariato” soprattutto per quanto riguarda i lavoratori meno professionalizzati. In Italia ci sono oltre 2,3 milioni di lavoratori con contratti a termine. Reinserire la causale serve a proteggere questi precari, costringendo l’azienda a spiegare perché non assume stabilmente.

Le ragioni del no e dell’astensione: i contrari sostengono che l’assenza di causali è necessaria per flessibilità, consentendo alle imprese di adattarsi rapidamente al mercato. Eliminare le deroghe senza necessità aumenterebbe il contenzioso e impedirebbe alle aziende di assumere velocemente.

Le indicazioni dei partiti

Astensione: FdI, Lega e Fi

No: Noi Moderati, Azione, Italia Viva, +Europa

Sì: Pd, M5s e Avs

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Landini: “Le ragioni del sì. Al referendum cambiamenti reali. Diritti negati a milioni di lavoratori”

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Sicurezza sul lavoro, scheda rosso rubino

Cosa si vota: si chiede di eliminare la deroga che esonera il committente da responsabilità per rischi specifici nei cantieri/appalti.

Cosa succede se vince il sì: la norma escludente viene cancellata e resta piena responsabilità solidale. Il committente (impresa che affida l’appalto) sarà responsabile in solido insieme all’appaltatore o al subappaltatore per tutti i danni ai lavoratori. In sostanza, anche i rischi specifici dell’appaltatore ricadranno sul committente.

Cosa succede se vince il no o l’astensione: l’attuale legge resta invariata. Resta l’esclusione della responsabilità del committente per rischi specifici. Solo i danni per rischi generici rimangono a carico solidale del committente.

Le ragioni del sì: i favorevoli affermano che estendere la responsabilità a tutti i rischi obbligherebbe il committente a fare maggiore attenzione alla sicurezza, evitando di scegliere appaltatori “al massimo ribasso” che tagliano sui costi di sicurezza. I subappalti non devono diventare una scusa per eludere le tutele dei lavoratori: la responsabilità solidale coinvolge tutte le imprese, incentivandole a garantire sicurezza.

Le ragioni del no e dell’astensione: i contrari replicano che il committente non può controllare i rischi specifici propri dell’appaltatore, anche perché spesso esulano dalle sue competenze tecniche. Estendere la responsabilità solidale rischierebbe di coinvolgere l’impresa committente in eventi che di fatto dipendono da come lavorano gli appaltatori. Il timore è quello di un aumento dei costi degli appalti e dei contenziosi.

Le indicazioni dei partiti

Astensione: FdI, Lega e Fi

No: Noi Moderati, Azione, +Europa

Sì: Pd, M5s e Avs

Libertà di voto: Italia Viva

Cittadinanza, scheda gialla

Cosa si vota: si propone di dimezzare da 10 a 5 anni il periodo di residenza legale richiesto per chiedere la cittadinanza italiana agli adulti extra Ue. Un beneficio che viene esteso automaticamente anche ai figli minorenni dei richiedenti.

Cosa succede se vince il sì: chi risiede regolarmente in Italia da almeno 5 anni potrà fare richiesta di cittadinanza. Ciò vale per tutti i cittadini stranieri maggiorenni extracomunitari.

Cosa succede se vince il no o l’astensione: permane il requisito attuale di 10 anni

Le ragioni del sì: i sostenitori del sì ritengono che 10 anni siano un periodo eccessivo, che crea discriminazioni per migranti di lunga data e i loro figli. Oggi in Italia ci sono circa 2,5 milioni di persone con permesso di soggiorno da almeno 10 anni. Dimezzare il requisito le integrerebbe pienamente nella società, garantendo più rapidamente, tra le altre cose, il diritto di voto e di partecipazione a molti concorsi.

Le ragioni del no e dell’astensione: i contrari sostengono che 10 anni siano un termine già rigoroso e adeguato. Sottolineano che l’Italia rilascia già decine di migliaia di cittadinanze all’anno e non servono tempi più brevi. Dimezzare i tempi, secondo loro, avrebbe pesanti implicazioni sociali (come la perdita progressiva dell’identità nazionale) e politiche.

Le indicazioni dei partiti

Astensione: FdI, Lega e Fi

No: Noi Moderati

Sì: Pd, Azione, Italia viva, Avs e +Europa

Libertà di voto: M5s

Approfondisci:

Quesiti referendum 2025: la spiegazione (breve e semplice) delle 5 domande su lavoro e cittadinanza

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