La violenza sulle donne si nasconde in casa Una difesa in più col telefono "Pronto Aiuto"

La comandante della Municipale Tomassetti: "Personale formato e psicologa per accogliere la vittima. E la prevenzione parte a scuola"

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Forse non tutti sanno che esiste uno specifico servizio della Polizia Municipale per dare assistenza alle donne e a tutte le fasce deboli vittime di violenza. Si chiama telefono "Pronto Aiuto", al numero 331-2313060, attivo tutti i giorni dalle 7 alle 24 e il venerdì e sabato 24 ore su 24. Partiamo da questa informazione per capire che gli strumenti di difesa ci sono. L’importante è conoscerli e usarli al bisogno.

"Perché - spiega la comandante della Polizia Municipale di Pistoia, Ernesta Tomassetti – la parte più difficile resta quella della richiesta di aiuto da parte della vittima".

Chi gestisce le richieste?

"Il servizio attivato e dedicato alle vittime di violenza può contare su personale formato. A Pistoia, abbiamo due ispettrici, una delle quali, l’ispettrice Elisabetta Gasparrini, è anche psicologa e da dieci anni si occupa della problematica, avendo fatto parte per anni del percorso del ‘Codice rosa’. L’altra collega ha un’esperienza decennale nell’ambito della polizia giudiziaria. Insieme a loro c’è il nucleo di polizia giudiziaria".

La scelta di colleghe donne è voluta?

"Sì lo è. Le donne riescono meglio a calarsi nelle situazioni vissute da altre donne. Inoltre, le vittime di violenza di solito hanno difficoltà, specie nella fase iniziale della denuncia, ad aprirsi con figure maschili, come è comprensibile. Si tratta di un percorso non facile: dalla richiesta di aiuto alla denuncia, passa del tempo, e spesso chi chiama poi si scoraggia. Noi abbiamo il compito di accompagnare la vittima in tutte le fasi. Non c’è una volontà di convincere ma solo di supportare chi chiede aiuto, fornendo i mezzi per difendersi e per migliorare la propria condizione di vita".

Quali sono le denunce più ricorrenti?

"Sono quelle delle violenze domestiche. A denunciare sono in prevalenza donne straniere, appartenenti ad altre etnie, soprattutto pakistane ma anche cinesi, meno integrate, che subiscono maltrattamenti in casa e che non possono chiedere aiuto a quella stessa famiglia dalla quale sono sottomesse, per questioni anche culturali. Negli ultimi tempi, si incominciano a vedere spiragli: molte di queste donne iniziano a fidarsi delle forze dell’ordine e trovano il coraggio di denunciare".

Quali le nuove forme di violenza?

"Sicuramente il ’cat calling’, la molestia in strada, commenti indesiderati, gesti, strombazzi, fischi, inseguimenti, avances sessuali. Si tratta di una condotta che nel nostro ordinamento viene inquadrata nel reato di molestie, e che trova origine nella cultura maschilista da cui proveniamo. L’effetto sulla vittima può andare dal fastidio, all’imbarazzo, fino a uno stato di ansia che la induce anche a cambiare abitudini di vita, come avviene nel caso dello stalking. Molto spesso gli uomini che si comportano in questo modo, non si rendono conto nemmeno che si tratta di una condotta tale da integrare un reato. E lo dimostra il fatto che nemmeno la divisa ferma questi atteggiamenti: la cronaca ci conferma che ci sono state colleghe apostrofate in strada, ma è recente il caso di una poliziotta che è stata palpeggiata mentre era in servizio".

Come ha inciso la pandemia sulla frequenza di questi reati?

"Come per altre situazioni, la pandemia e le restrizioni ad essa connesse, ha acuito problemi già esistenti o innescato conflitti nuovi. Molto spesso queste situazioni sono state legate anche all’abuso di alcol, che in questi due anni ha avuto una maggiore incidenza".

Martina Vacca