FRANCESCO PALETTI
Pisa

Pillole di Storia. L'impresa di Cremona e il portiere che non doveva giocare

La magia di Piovanelli, il muro dei 5mila pisani e la sapiente regia di Simoni sicuramente. Ma un posto di riguardo in quella storica partita dell'87 che regalò al Pisa la promozione in A spetta anche a Gianpaolo Grudina che quel pomeriggio sostituì l'infortunato Mannini

L'ex portiere del Pisa Gianpaolo Grudina

Pisa, 31 gennaio 2020 - La prima volta fu nel '36, l'ultima due estati fa in Coppa Italia. E' lunga più di ottanta anni la storia delle sfide fra Cremonese e Pisa allo “Zini” e fatta di ben 18 incroci in gare ufficiali. Ma per i tifosi pisani la sfida con i grigiorossi è solo e soltanto una partita, quella de 21 giugno 1987. “L'impresa di Cremona”, appunto. Inutile andare a cercare nei libri di storia, altri precedenti, curiosità e spigolature. Per coloro il cui cuore batte nerazzurro, quella lì è “La partita” per eccellenza. Sono passati 32 anni e mezzo ma la ricordano ancora tutti, pure chi al tempo non era ancora nato: perchè ne ha sentito parlare mille volte e l'ha vista e rivista sulla rete con quel colpo di testa in tuffo di Piovanelli e la voce inconfondibile di Aldo Orsini che l'accompagna: “Piovanelli, Piovanelli ed è il due a zero, ancora un numero di gran classe di Lamberto Piovanelli”.

E' l'ultima giornata del campionato 1986/87: la Cremonese, prima in classifica dalla prima alla penultima giornata, è ancora in testa con un punto di vantaggio sui nerazzurri ed ha due risultati su tre dalla sua parte. Sono talmente sicuri in casa grigiorossa che hanno pure già preparato la festa per la promozione. Il Pisa è sotto di un punto e può solo vincere per salire in serie A. E finirà proprio così, con la squadra allenata da quello straordinario maestro di calcio che è Gigi Simoni che s'impone per 2-1, davanti a cinque mila pisani in estasi, grazie al rigore di Sclosa e all'incornata del Piova.

Non è stato il Pisa più forte della storia, quello dell'impresa di Cremona. Anconetani, dopo la clamorosa beffa estiva del mancato ripescaggio in serie A, lo smontò e rimontò a stagione in corso, portando prima Faccenda e Cuoghi, poi Lucarelli. A centrocampo c'erano anche Sclosa e Giovanelli, la coppia d'attacco era composta da Piovanelli e Cecconi. E fra i pali c'era Sandro Mannini, il portiere per definizione dell'epopea Anconentani. Che quell'anno saltò solo una partita, guarda caso proprio quella più importante. Sì, perché “l'impresa di Cremona” è legata sicuramente alla magia di testa di Piovanelli, all'esodo dei 5mila, al genio di Anconetani e all'intelligenza calcistica di un maestro come Gigi Simoni, allenatore che, dopo, farà la storia anche sulla panchina della Cremonese. Ma è stata anche la partita di Giampaolo Grudina di Decimonannu, piccolo comune alle porte di Cagliari. Che in quel campionato giocò solo tre partite, inclusa quella, causa l'infortunio capitato a Mannini giusto un paio di giorni prima.

Grudina è il portiere del record: appena sette reti subite l'anno prima con la maglia del Livorno. Nessuno, finora, lo ha superato. Però era C2, due categorie più giù. E poi a Cremona in palio c'era la serie A, l'Olimpo del Calcio, negli anni '80 il campionato più importante del mondo. Tutta un'altra cosa, insomma.

Aveva stoffa, però, questo portiere sardo, forse un po' troppo sottovalutato dal calcio che conta. A Cremona, nella partita che non avrebbe dovuto giocare, non tradì, arrendendosi solo al calcio di rigore di Nicoletti. La promozione in A quell'anno passò anche dai suoi guantoni, non importa se furono solo novanta minuti.

La sua “storia” in nerazzurro, peraltro, è legata anche ad un'altra storica partita dei nerazzurri quella del 29 gennaio 1989 a San Siro con il Milan di Sacchi e dei tulipani olandesi. Parò tutto in quella partita Grudina, incluso un rigore a Pietro Paolo Virdis, l'unico tiro dal dischetto fallito dal bomber sardo in A in tutta la carriera. E finì 0-0. “Lo conoscevo bene perché avevamo giocato insieme nelle giovanili del Cagliari e sapevo come calciava: riuscii a bloccare il suo tiro e a fine gara ci abbracciamo” ricordò anni dopo. Poche sobrie parole e tanta sostanza.