GABRIELE MASIERO
Cronaca

Toscana, primo suicidio assistito. Il medico che lo ha aiutato: "Mai abbandonare il paziente"

Paolo Malacarne, ex primario oggi in pensione: "Se ci sarà ancora bisogno, lo rifarò". La scelta del paziente risale a mesi fa, ma è stata resa nota ieri a un convegno della Sant’Anna

Pisa, 19 dicembre 2023 – La notizia è trapelata ieri, ma il caso risale ai primi mesi dell’anno, nel territorio della costa toscana. Ed è il primo in Toscana di suicidio medicalmente assistito, con il via libera del Servizio sanitario regionale. Top secret, per motivi di privacy, la condizione del paziente: si sa solo che è un uomo che ha scelto di chiudere la sua esistenza piena di sofferenza facendosi accompagnare nell’ultimo viaggio da un medico pisano: Paolo Malacarne, ex primario (oggi in pensione) del reparto di rianimazione dell’ospedale di Pisa. Il tema è stato al centro di un seminario organizzato oggi a Pisa dalla Scuola Superiore Sant’Anna. L’Asl Toscana nord ovest, che governa il sistema sanitario della costa toscana, ha predisposto un protocollo operativo già nel 2021. Prevede che la richiesta del paziente sia valutata da una commissione composta da un medico palliativista, uno psichiatra (che attraverso un dialogo con il paziente accerti la sua irremovibile volontà e che essa si sia formata liberamente ed autonomamente), uno psicologo, un anestesista rianimatore, un medico specialista nella patologia di cui soffre il richiedente, un medico legale e il medico di famiglia del paziente.

“Rifarei ciò che ho fatto. È dovere per un medico, non abbandonare mai il paziente. Non lo si può accompagnare solo fino alla soglia, bisogna stare con lui fino alla fine. Se ci sarà bisogno di nuovo di un mio intervento non mi sottrarrò. Ma serve una legislazione, che supporti la relazione di cura e di fiducia che si instaura tra il medico, il paziente e i suoi familiari". Durante la fase più critica della pandemia, quando finire in ospedale significava per molti l’anticamera della morte, fu il primo in Italia a far entrare i familiari dei malati Covid ricoverati nella sua terapia intensiva, perché - disse - "non si deve morire soli".

Ora il professor Paolo Malacarne, ex primario (oggi in pensione) del reparto di rianimazione dell’Azienda ospedaliero universitaria pisana, è il primo medico ad avere accompagnato alla fine un paziente toscano, il primo nella regione a ricorrere alla pratica del suicidio medicalmente assistito. "Ma - sottolinea - serve una legislazione ‘gentile’ che sappia prevedere le diverse tipologie di casi che si presentano e sappia proteggere la relazione di cura".

Quello che ha seguito lei, dottore, che caso era?

"Ho un patto con i familiari che intendo rispettare e che mi vieta di dare qualunque informazione che possa rendere riconoscibile il paziente. Posso solo dire che non si tratta di un piombinese di 40 anni e che il tema è molto delicato e richiede di essere affrontato senza tifoserie: non basta, dunque, dire bianco o nero occorre capirne gli aspetti complessi. Sono situazioni molto delicate dove entrano in gioco anche aspetti umani e di coscienza che non possono essere liquidati banalmente. Ecco perché la tutela e il supporto alla relazione tra medico, paziente e familiari di quest’ultimo è indispensabile".

L’Italia è pronta a sostenere un dibattito pubblico su temi così difficili?

"Ritengo che il Paese sia più pronto ad affrontarlo rispetto al Parlamento dove determinati dogmatismi politici influenzano anche scelte che attengono principalmente all’etica di ciascuno di noi. La sentenza della Corte Costituzionale del 2019 che introduce il suicidio medicalmente assistito però dice con chiarezza che esso è possibile soltanto dopo che il paziente ha avuto l’opportunità di accedere a un percorso di cure palliative e può arrivare dopo una valutazione espressa da una commissione del sistema sanitario nazionale che abbia valutato tutti questi aspetti".

A quattro anni dal pronunciamento della Consulta però una legge che disciplini la materia ancora manca.

"Serve una legislazione con paletti precisi che tengano in considerazione aspetti fondamentali e tra questi auspico proprio quello del supporto alla relazione di cura e di fiducia tra medico e paziente: penso, ad esempio, ai casi in cui determinati pazienti, pur se lucidi e consapevoli, non sono però in grado di somministrarsi da soli il farmaco letale, né per infusione in vena, né assumendolo per bocca. Insomma occorre che il legislatore preveda un quadra normativo che sappia tenere conto di tutte le variabili che una condizione come questa determina per evitare di scivolare in aspetti difformi da quelli esplicitati nella sentenza della Corte Costituzionale".