Lo psicodramma Pd si aggrava dopo il voto

Lo scenario tra i dem

Pecore elettriche

Pecore elettriche

Firenze, 2 ottobre 2022 - Aumentano gli aspiranti segretari del Pd, tra poco saranno più del 19 per cento dei voti presi domenica 25 settembre. Ci sono le auto candidature e le quasi auto candidature (Paola De Micheli, Stefano Bonaccini). Poi ci sono le papesse straniere come Elly Schlein, cosiddetta indipendente eletta nel Pd (ma se sei eletto con un partito come fai a essere indipendente? Questi sofismi erano buoni per il Pci), che una parte della sinistra vorrebbe alla guida dei Democratici.

E Antonio Decaro: che farà il sindaco di Bari? E Dario Nardella? Una selva di nomi per un partito senza più identità, senza più capacità di affrontare i problemi nella propria complessità sociale, economica, persino culturale. Surclassato al Sud dal M5s, battuto nazionalmente dal partito di Giorgia Meloni, che prende il 26 % in maniera omogenea, ridotto persino nelle cosiddette ex regioni rosse. Firenze è ormai la ztl della Toscana, come ha detto l’ex deputata Elisa Simoni. Forse neanche il congresso basta al Pd, che ha dato per tutta la campagna elettorale l’idea di un partito in dismissione, già in procinto di accettare l’inevitabile sconfitta (c’è persino chi ne chiede lo scioglimento). Insomma rassegnato. Un partito che ha pagato il mancato accordo con Carlo Calenda, come testimoniano i flussi di voto al Terzo Polo dal Pd.

Secondo un’analisi dell’Istituto Cattaneo “la quota di voti di Calenda che arriva da questa fonte oscilla tra circa un terzo a circa la metà, a seconda della città considerata” (le città sono Torino, Brescia, Genova, Padova, Bologna, Napoli, Salerno, Catanzaro, Catania). Ora, come il Pd intenda fare per recuperare i voti perduti e andati al Terzo Polo è un mistero. Così facendo però il Pd perde voti di un elettorato che aveva condiviso l’avventura renziana dentro i Democratici, salvo non apprezzare il salto e la scissione e la nascita di Italia Viva. L’impressione è che a parte dei dirigenti del Pd, molto spostati a sinistra (Andrea Orlando, Peppe Provenzano), la cosa interessi poco. Quel che sembra mancare è un serio dibattito che vada oltre i diritti, ma che in un momento del genere interroghi un partito che dovrebbe occuparsi di lavoro ed economia. Ci sono molti aspetti contingenti di questa crisi che si collegano ad altre questioni strutturali: il Pd, così com’è, sembra aver perso la sua funzione politica.

Anche perché tra le funzioni principali del Pd c’è stata il governo a ogni costo. Un partito che esiste solo in funzione del proprio ruolo di gestione del potere è destinato a perdere il contatto con la realtà. Lo dimostra la storia delle ex regioni rosse, dall’Umbria alle Marche, passate nelle mani del centrodestra. Per non parlare di Toscana ed Emilia-Romagna, dove il centrosinistra erode a ogni elezione le proprie rendite di posizione. C’è poi l’assurdità del segretario dimissionario al Var, Enrico Letta. Dopo la bruciante sconfitta elettorale Letta ha spiegato che non si presenterà al congresso, ma ha spiegato come dovrà essere il Pd che verrà e ha stabilito tappe e modalità per scegliere il nuovo leader, a partire dal la direzione nazionale. Quattro fasi, dalla “chiamata” alle “primarie” passando per i “nodi” e il “confronto”. Non si capisce a che titolo un segretario dimissionario al rallentatore indichi terze o quarte vie. Certe volte, meglio andarsene in ordinato silenzio.

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