
Omaggio a Giovanni Jannello "Ha contribuito a rendere il nostro dialetto una lingua"
di Riccardo Jannello
MASSA
Le radici, la memoria, l’insegnamento: se sono diventato un giornalista lo devo a Giovanni e a chi attorno a lui – Valeriano Cecconi, Aldo Valleroni, Rodolfo Grassi, Ultimio Bertoni, Silvio Matelli, per citarne alcuni – mi ha fatto apprezzare la bellezza delle parole, del racconto, del mettere gli altri in grado di giudicare sulla base di dati oggettivi. E’ sempre stato e sempre sarà l’obiettivo della mia professione. Ma Giovanni mi ha dato una cosa in più: l’amore per il teatro. Quello che scriveva lui quando io ero bambino e quello che mi portava a vedere dal palchetto del Guglielmi. Ho così potuto conoscere una serie di mostri sacri della scena italiana e anche parlarci: Buazzelli, Randone, Maranzana, Romolo Valli, Albertazzi, la Proclemer, la Guarnieri, la Pagnani, Gino Cervi e Ave Ninchi. E ne potrei nominare molti altri fino ad arrivare a Umberto Orsini, Pino Micol e Gabriele Lavia, quest’ultimo doppiamente amico mio e di Massa.
Ma era Giovanni immerso nel dialetto che aveva nel sangue da parte di mia nonna Vittorina, lui nato casualmente a Roma, che mi faceva sentire ancora più a casa. Delle sue venti e passa commedie io ho le mie preferite, ma in tutte sento una passione per la città e soprattutto una acuta lettura di ciò che il suo tempo, principalmente gli anni Sessanta e Settanta del Novecento, proponeva: i cambiamenti sociali, lo sviluppo industriale e l’eterna diatriba economica fra turismo e fabbriche, la famiglia che cambiava, la politica e la religione che cercavano ognuna la propria strada. E poi la Massa popolare delle cantine e della Conca: io ho avuto la fortuna di nascerci ed è per questo che ho chiesto a Fernando Petroli di aprire la serata leggendo “Natalo ala Conca” perché ogni volta che passo davanti a quella che è stata la mia casa un po’ di lacrime le verso. Ed ecco perché – e stasera lo scoprirete – ho deciso di omaggiare altri due conchesi, musicisti loro, Davide Sacchetti e Dante Marchetti, e un terzo al quale mi legava il sangue, mio zio Vittorio, “quello delle macchine fotografiche”.
Ho l’onore di avere accanto a me stasera il fior fiore del teatro e della cultura massese e ho corso il rischio che la serata diventi monumentale proprio perché è giusto che tutti assieme si viva una nuova partenza: proporrò al sindaco Persiani e all’assessore Bertoneri la nascita della “Casa del dialetto”, gli “amatori” che fanno grandi le nostre scene lo meritano. Dimostrando la tesi di Fabio Cristiani – altro protagonista della serata – che il teatro massese più che “dialettale” è “in dialetto”, cioè capace di affrontare temi che vanno ben oltre la semplice risata. Stefania Buffa, Maria Rosa Cavazzuti, Vasco Lari, Roberto Borghini, Mario Ricciardi e Pietro Chesi parleranno non solo con la loro voce ma con le parole di Giovanni; Giuseppe Cuturi ci dirà cosa voleva dire realizzare la commedie; mentre Paolo Giannotti, figlio di Ernesto e storico del dialetto, scrittore e docente, tratterà la figura letteraria di mio padre; e Franco Frediani quella dello zio Vittorio. E poi sorprese in una serata che prometto frizzante e divertente.
Ringrazio fin d’ora tutti, a partire da Clara Mallegni, direttrice del Mug2, che ha creduto in questa mia pazza idea assieme a Walter Sandri, ma soprattutto ospiti e pubblico, e spero solo che l’emozione mia e di mio fratello Nicola possa essere anche un poco la vostra.