Lo strano amore tra Giorgio Bocca e il testarolo

La ribalta del piatto povero ma gourmet negli anni Settanta. Galeotto fu... un articolo di giornale

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"Testarolo tu sei la mia patria", così titolò L’Espresso alla fine degli anni ’70, una rubrica curata dal giornalista Giorgio Bocca, che, nell’occasione, ospitò una paginata di lettere inneggianti ai testaroli. La causa di tanta levata di scudi era stato un precedente giudizio del famoso giornalista che in un articolo uscito precedentemente sempre sullo stesso settimanale, aveva bacchettato il piatto povero pontremolese, definito " pelle di rospo bollita" e quindi da rifiutare con gesto fermo.

Evidentemente Bocca si era ritrovato a mangiare in una trattoria di scarsa qualità e quindi aveva bocciato in tronco i piatti assaggiati. Un gruppo di giovani goliardi pontremolesi che si davano appuntamento agli spettacoli del Teatro della Rosa, decise simpaticamente di “punire“ il giornalista sommergendolo di finte lettere a difesa dei testaroli. Una sollevazione di principio, perché i testaroli erano considerati, almeno da chi si occupava di cultura tradizionale lunigianese, un simbolo da difendere a spada tratta. E poi c’era il sottile gusto della provocazione unita al desiderio di scagliare un tiro mancino sotto il segno dell’umorismo. Bocca cadde nel tranello e pubblicò. Fu quella forse la prima occasione in cui i testaroli raggiunsero notorietà nazionale, vista la grande diffusione del periodico. E per quei dischi di pasta ci fu un vero e proprio boom di notorietà. Eppure le origini di questo piatto si perdono nella notte dei tempi. Preparati con ingredienti semplici come la farina, il sale e l’acqua erano cotti nei testi, dai quali prendono il nome. L’uso dei testi di terracotta, già presente in epoca romana, raggiunse il massimo sviluppo nei primi secoli dopo il Mille, quando tale sistema di cottura era pienamente impiegato nelle aree montane che si estendono dal Genovesato all’Emilia ed alla Toscana meridionale. Questo tipo di testo è formato da due elementi: il sottano e il soprano (quèrc). Il primo costituisce la base nel quale vengono collocati gli alimenti da cuocere. Il secondo a forma di campana permette l’effetto forno, soprattutto quando viene ricoperto dalla brace. In base alle memorie orali raccolte negli anni Sessanta a Castagnetoli, la produzione di testi era praticata in passato solo da alcune famiglie contadine che conoscevano le terre adatte con le tecniche di lavorazione, e ne fabbricavano un numero di pezzi variabile durante i periodi di minore lavoro nei campi. Le famiglie che fabbricavano i testi li smerciavano a prezzi molto bassi o in cambio di altri prodotti agricoli, ai mercati di Bagnone e Pontremoli. Il baratto prevedeva la consegna di due o tre testi in cambio di due quartari di grano (32 kg) o di un quartaro di castagne secche. Soppiantati dai testi di ghisa la produzione dei testi di argilla a Castagnetoli ben presto declinò, subito dopo la seconda guerra mondiale.

Natalino Benacci