
I tifosi rossoneri, nonostante tutto, coltivano ancora la speranza nel mondo imprenditoriale perché salvi la Lucchese
Un lavoratore e tifoso rossonero, Emanuele Pacini, ha scritto una lettera aperta indirizzata alla presidente del Gruppo Sofidel, Paola Stefani, ma "rivolta, in realtà, – afferma – a tutto il tessuto industriale ed economico della Lucchesia".
"Gentile presidente – esordisce Pacini – , ci sono cose che si vedono solo stando in silenzio la domenica pomeriggio, in curva. Lo stadio è uno dei pochissimi luoghi rimasti dove la gente si guarda ancora negli occhi. Dove ci si abbraccia senza conoscersi".
"Salvare la Lucchese – prosegue Pacini – non è un’operazione sportiva. È proteggere un baluardo di identità collettiva, che tiene insieme intere generazioni. C’è un ragazzo che viene con il padre. C’è un nonno che racconta al nipote com’era il “Porta Elisa” quarant’anni fa. C’è un operaio che ha rinunciato a una pizza con la famiglia per potersi permettere il biglietto. Perché non è solo una palla che rotola su un campo. È un rito collettivo".
"Un’azienda come Sofidel – dice Pacini – , che si muove in territori e li abita con la propria presenza industriale, ha una responsabilità che va oltre i numeri di bilancio. Una responsabilità verso chi in quei territori vive, lavora, cresce i figli, manda avanti una famiglia, spesso senza aiuti. La Lucchese non è una spesa. È un investimento. Se cade la Lucchese, non cade solo una squadra. Cade un presidio umano. Un luogo dove si impara il rispetto, la lealtà, la lotta, il valore della maglia, del gruppo, della sconfitta e della vittoria. Tutti valori che servono ogni santo giorno anche nel campo della vita. Non chiediamo miracoli. Ma un gesto. Un segnale. Un’assunzione di responsabilità sociale. Perché chi ha ricevuto tanto da questo territorio, può e forse deve, restituire un pezzetto di speranza a chi ogni giorno si rialza senza aiuti".
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