REDAZIONE LUCCA

Una “matrimoniale“ in reparto "Ricoverati e dimessi insieme"

Marito e moglie nella stessa stanza al San Luca: sono guariti lo stesso giorno "Siamo stati la nostra forza: trattati come pietre preziose da tutto il personale"

Paolo Stefani insieme alla moglie Maria Paola Colombini in ospedale

Venti ore al dì per dodici giorni. Quando l’infermiere gli infilava il casco di ventilazione che per 246 ore filate gli ha sparato ossigeno nei polmoni assaliti dal Covid, lui, Paolo Stefani, geometra 72enne, sorrideva: "Mi preparo a decollare per la Luna". Ma quel sorriso nascondeva una paura: trovarsi solo in quel viaggio. Sapendo che la possibilità di tornare vivi sulla Terra, al lettino di Pneumologia, Setting B del San Luca, non era per nulla scontata. Di quei viaggi nello spazio siderale della ventilazione assistita, dove il rombo del casco "e le goccioline acide che scendono dagli occhi" sono le uniche compagne, ne ha fatti più di dieci. Lottando contro il Covid che provava a schiacciargli i polmoni.

Finché un giorno, dopo uno degli “atterraggi“ nella camera del San Luca, Paolo ha trovato una sorpresa: era Maria Paola Colombini. La sua “Pabi“, la moglie di 68 anni. "Anche lei - racconta Paolo - ricoverata per Covid nel reparto di Pneumologia del San Luca. Anche lei per Covid". E quando l’ha vista nel letto a fianco al suo, l’uomo della Luna, ha trovato il coraggio che cercava per tornare tutto intero da quei viaggi. Paolo e Maria Paola, sono oggi una delle coppie che c’è l’ha fatta: ammalati insieme, ricoverati a distanza di una settimana l’uno dall’altra. E, il 9 aprile, finalmente usciti insieme sulle loro gambe dal San Luca. Da quella camera “doppia“ con vista sulla pandemia. "Il mio – racconta Paolo – è un grazie gigantesco a tutto il personale del San Luca. Siamo stati coccolati e trattati come pietre preziose".

Paolo è stato ricoverato il 23 marzo. "La saturazione era scesa a 92: il mio medico ha fatto mandare un’ambulanza a casa. E mi hanno chiesto se volevo ricoverarmi". Lui ha risposto sì. Quando il 30 marzo, mentre stava per infilare nuovamente il casco per una delle “missioni salva-vita“, ha squillato il cellulare: "Era uno dei mie figli. Mi ha detto: “Papà, stanno ricoverando la mamma. Ora è al pronto soccorso“". Paolo, ci ha provato. "Ho chiesto al personale se potevano ricoverare mia moglie nel lettino accanto al mio: la camera era a due posti, ed era vuoto".

L’equipaggio dell’uomo della Luna (i suoi infermieri e medici), non ci hanno nemmeno pensato. "Si sono dati da fare e l’hanno fatta ricoverare accanto a me". A Pabi, la moglie, per fortuna non è toccato il casco. "E’ riuscita a farcela senza. Ma aveva delle complicanze legate ad altre patologie pregresse". E lì, uno a fianco all’altra, sono stati dal 30 marzo, fino a pochi giorni fa. "Ci siamo fatti tantissima compagnia e, la sorte è stata buona con noi, a legarci nel momento del bisogno". Il resto lo hanno fatto gli infermieri e i medici del reparto di Pneumologia Setting B del San Luca che la coppia vorrebbe ringraziare uno a uno.

"Sono stati fantastici. Per Pasqua ci hanno pure regalato un uovo. Durante il giorno non potevo parlare molto con mia moglie però". Il 72enne è stato impegnato per 20 ore al giorno in quelle missioni “spaziali“: indossare il casco e attendere che lavorasse per i suoi polmoni esauriti. "Ma ci siamo fatti compagnia con lo sguardo, con la presenza: è stata una grande forza essere insieme". E a lui che è sempre stato di poche parole, quella matrimoniale nella bufera del virus ha lasciato il segno. "Sono sempre stato di poche parole: anche con la mia famiglia. Adesso invece ho voglia di parlare. E di parlare tantissimo". Odore della vita che torna a investire le mucose. E sembra odore nuovo. "La prima cosa che ho fatto, tornato a casa, è stato mandare un messaggino ai miei tre figli". Poche parole, preziose come un frammento di Luna. "Gli ho scritto tutto quello che penso di loro. Spiegandogli tutto il bene che gli voglio".

Claudio Capanni