In Inghilterra non si parla d’altro che della qualificazione ai quarti di finale della FA Cup del Grimsby Town, formazione di bassa classifica di League Two (Quarta divisione professionistica, in Italia la ex C2), atteso ora dal Brighton di De Zerbi. Grimsby è nel Lincolnshire, Inghilterra nord-orientale, ha circa 88.000 abitanti, è uno dei principali porti pescherecci, un po’ come San Benedetto del Tronto in Italia, mentre Genova e Spezia ricordano, anche per vicinanza, le portuali e industriali Sunderland e Newcastle. Immaginate che la Sambenedettese (o lo Spezia quando era in C2) vada da una formazione di serie A (in questo caso il Southampton) e vinca 2-1 grazie a due rigori. Impensabile, vero?
Al nostro calcio in crisi sotto ogni punto di vista, per recuperare un minimo di interesse basterebbe copiare. La ripartizione dei diritti televisivi in ambito economico, la formula della Coppa d’Inghilterra in ambito sportivo. Invece della noiosissima e antisportiva Coppa Italia, giocata in stadi spesso semivuoti, guardiamo ai padri fondatori, come d’altra parte si faceva già nelle poche edizioni della Coppa giocate fino al 1943. Quest’anno hanno partecipato 736 formazioni, tutte con la possibilità di arrivare alla finale di Wembley alla presenza di Re Carlo III. Pensate quanti spunti, tra lo sport e il costume, quante curiosità, a volerle vedere. Per molte di queste già approdare al tabellone principale di 128 (esattamente come a Wimbledon) è un sogno.
Nessuna testa di serie e sorteggio integrale, anche per il campo. Può capitare che la Juventus incontri la Fezzanese, o viceversa, senza che nessuno si lamenti di qualunque cosa. In caso di parità dopo i supplementari, replay a campi invertiti, di solito dopo otto giorni: in quel caso si può arrivare ai rigori. Non è infrequente che la coppa occupi i weekend al posto del campionato, relegato in infrasettimanale. Come nelle semifinali, in campo neutro, o nella finale, per la quale si ferma la nazione intera.
Mirco Giorgi