
Giuseppe Giacobazzi arriverà al teatro Moderno venerdì (inizio alle 21) con lo spettacolo dal titolo «Il pedone, luci e ombre di una vita qualunque»
Grosseto, 12 marzo 2025 – “Il Pedone”, luci e ombre di una vita qualunque. Il comico romagnolo Giuseppe Giacobazzi, che si esibirà venerdì 14 al Teatro Moderno di Grosseto alle 21, porterà nel capoluogo maremmano il suo nuovo spettacolo. Che propone una metafora in tema “scacchistico”, un paragone tra la nostra vita e quella vissuta su una scacchiera e raccontata non dal punto di vista del pezzo più importante (la regina) o da quello più tutelato (il re), ma da quello più umile e comune, quello del pedone. Giacobazzi, da giocatore di scacchi qual è, faccia la sua mossa: cosa rappresenta per lei il pedone? «Rappresenta noi, la normalità e la vita che facciamo tutti. Lo sforzo di poter arrivare in fondo alla scacchiera evitando gli ostacoli e i pezzi (le persone) che ti possono mangiare, per riuscire a indossare un abito migliore. Perché se il pedone riesce ad arrivare in fondo alla scacchiera può prendere un pezzo più pregiato per cambiarsi. La normalità è anche l’incognito, poi spesso i pedoni vengono mandati avanti allo sbaraglio. Sono i pezzi che hanno meno potere in assoluto nella scacchiera, nonostante siano i più numerosi». Cosa troverà chi verrà a vedere il suo spettacolo? «Tutto nasce dal pedone e dalla comparazione con la nostra vita con gli scacchi. Un mio carissimo amico, nell’osteria che gestiva e in cui lavoravo, una volta fece un discorso straordinario in cui diceva che noi siamo come i pedoni, da cui poi ho preso ispirazione. E mi sono ricordato di quel periodo bellissimo in cui Bologna, negli anni ’80, era una città straordinaria e in giro c’era più gente di notte che di giorno. Ci siamo persi e poi ritrovati dopo 40 anni ed è il racconto di come siamo cambiati nel frattempo, del racconto dei miei amici e di come sono andate le loro vite». È un bravo giocatore di scacchi? «Ho fatto anche i regionali, perdendo però la prima partita con uno molto bravo. Ma ero contento perché lui vinse quasi tutte le sue partite, mentre io le perse tutte. Ho anche spiegato gli scacchi a mia figlia». Da cosa trae ispirazione in genere per i suoi monologhi e i suoi spettacoli? «Traggo ispirazione da quello che mi è successo, è tutta roba autobiografica. E se non è capitato a me in prima persona, almeno ai miei amici più cari, basta “colorarle un po’». Quanto ha influito il percorso a Zelig nella sua carriera professionale? «Ha influito moltissimo. Fino a che non ho fatto Zelig ero rimasto ancorato nella mia regione, l’Emilia Romagna, con un buon riscontro e un buon successo. Una volta approdato a Zelig c’è invece stato un boom incredibile e immediato. Sono andato in giro per l’Italia inconsciamente, senza pensarci due volte. Il riscontro è stato buono dappertutto. Mi sono reso conto che, raccontando cose che appartengono alla mia vita, ognuno si riconosce in tante sfumature di ciò che dico». Che differenza c’è tra l’esibirsi per un pubblico di teatro e un pubblico televisivo? «La differenza è sui tempi. La mia più grande difficoltà è stata riuscire a condensare in sette minuti un racconto, cosa che invece quando sono sul palco nel mio spettacolo si dilata. Io non sono un battutista, sono un raccontatore. Poi in teatro sei più libero, puoi dire ciò che ti pare, mentre in tv c’è un po’ da fare i conti su cosa si può dire, quindi la forma. Poi ci sono i social, che hanno cambiato il modo di comunicare delle nuove generazioni e hanno “rincoglionito” moltissimo le vecchie generazioni. Vedo gente che insulta altra gente parlando di cose che non conosce». E come è cambiata la vostra professione da quando tutti sui social si sentono comici? «É cambiato il background. Noi venivamo dalle sagre e dai localini, dalla gavetta, chi affronta il pubblico su un palco va omaggiato. Adesso magari fai una cosa simpatica ed “esplodi” diventando virale in video, venendo subito chiamato da altre parte cominciando una carriera comica. Poi arriva il teatro e c’è uno scoglio grosso da superare, ovvero fare contenuti per almeno un’ora e mezza». Qualche aneddoto che le è capitato durante la carriera o la gavetta? «Una volta durante uno spettacolo è caduta una trave di legno che mi ha sfiorato la testa. Dopo abbiamo riso, ma perché è andato tutto bene. Poi gli scherzi che si fanno a fine tournée sono esilaranti e mi fanno piegare dal ridere, il mio staff me ne fa di tutti i colori. A volte mi devo trattenere perché, raccontando delle cose che ho vissuto, le cose me le figuro davanti. E mi scappa da ridere perché so come va a finire». Un saluto ai maremmani che verranno al suo spettacolo. «Il saluto lo faccio alla grandissima. La Toscana mi è sempre piaciuta, poi si mangia bene. Io che sono romagnolo sono addirittura abbonato al Vernacoliere, anche se non è proprio delle parti della Maremma. Ma ho amici carissimi anche a Grosseto, quando in un posto si sta bene si torna sempre volentieri».