Crisi alla Venator L’appello di don Franco "Ora rimbocchiamoci le maniche tutti insieme"

Monsignor Cencioni, decano dei sacerdoti della diocesi con i suoi 97 anni, invita le parti sociali alla collaborazione, per cercare di risolvere i problemi che attanagliano le imprese del Casone.

Crisi alla Venator  L’appello di don Franco  "Ora rimbocchiamoci   le maniche tutti insieme"

Crisi alla Venator L’appello di don Franco "Ora rimbocchiamoci le maniche tutti insieme"

Domani ricorre il 34° anniversario della storica visita di papa Giovanni Paolo II in Maremma, che iniziò tra i lavoratori del Casone di Scarlino, dove oggi si addensano nubi preoccupanti. Nel ricordare quell’evento, don Franco Cencioni parla degli attuali problemi delle aziende del Casone. "Ripensare oggi alle parole che il santo Papa Giovanni Paolo II pronunciò a Scarlino dinanzi agli imprenditori e alle maestranze della piana industriale della nostra Maremma – afferma don Franco Cencioni – è prendere coscienza di una profezia di cui il Papa, che aveva conosciuto egli stesso il lavoro duro nelle cave di pietra della Solvay, ci ha fatto dono". E don Franco cita un passaggio di quel discorso. "Carissimi operai degli stabilimenti di Scarlino e della Nuova Solmine. Se mi chiedete quali sono le ragioni profonde che spingono la Chiesa a interessarsi in maniera diretta e partecipata al vostro mondo, vi risponderò che sono soprattutto due, tra loro connesse e complementari. La prima ragione è che la Chiesa ha ricevuto da Cristo la missione di guidare l’uomo alla salvezza, orientandone l’impegno nei molteplici settori nei quali si esprime e si svolge la sua vicenda terrena. Di tale vicenda il vasto e differenziato campo del lavoro costituisce una componente essenziale. Il lavoro, perciò, fa parte del progetto che Dio ha sull’uomo, progetto che egli ha manifestato nella sua Rivelazione. C’è un Vangelo del lavoro che la Chiesa ha il compito di predicare, affinché l’uomo possa conoscere sempre meglio la sua vocazione e, accogliendola, contribuisca in modo costruttivo al comune progresso. La seconda ragione sta nella solidarietà profonda che la Chiesa avverte per l’uomo e per tutto ciò che ‘incide e decide’ della sua piena realizzazione di persona voluta da Dio creatore a sua immagine e somiglianza".

"In queste parole – dice don Franco – ci sono, almeno in parte, le risposte alla crisi che oggi quell’area produttiva della nostra provincia sta vivendo e che, come Chiesa locale, seguiamo con apprensione. Pochi giorni fa abbiamo ricordato la strage di Ribolla, ora ricordiamo la visita del Papa in Maremma mentre una grave situazione di incertezza pesa sul futuro di molte famiglie e di quanti sono impiegati nell’area del Casone". A questo punto don Franco fa un appelIlo. "Il mio è l’appello di un vecchio prete, che ha avuto la grazia di assistere a tanti cambiamenti in questa terra, figlio di minatori a cui i vescovi, che si sono succeduti, più volte hanno affidato la missione di operare in mezzo al mondo del lavoro. Rimbocchiamoci insieme le maniche: imprenditori, lavoratori, sindacati, politici, economisti, uomini di finanza, ambientalisti, corpi intermedi per cercare di dare un futuro al lavoro sicuro, degno e solidale di quella zona, oggi minacciato. Io non ho le soluzioni, né ho competenze specifiche. So però che la buona volontà è la precondizione per evitare disastri che poi si ripercuotono sulla tenuta sociale della nostra terra. È l’appello di un maremmano di 97 anni: non lasciamoci rubare il futuro, il lavoro buono e la speranza! ‘Lavoro sul lavoro’ disse Giovanni Paolo II al Casone per significare ‘un impegno efficace a servizio di chi lavora. Secondo il progetto di Dio il lavoro è la strada sulla quale l’uomo deve perseguire la piena attuazione della propria umanità’".

Infine don Franco chiude. "I nostri pastori, successori dei vescovi Tacconi e Vivaldo, che accolsero il Papa al Casone, hanno continuato fino ad oggi, la loro personale presenza negli annuali incontri sul posto di lavoro per mantenere viva e operante la presenza della Chiesa laddove la vita trova la sua espressione più completa di questo dono: il lavoro, sia pure nella fatica che costa per sostenerlo e mantenerlo. Per il poco che posso, assicuro la disponibilità della mia modesta esperienza di sacerdote, nato e vissuto tra la gente, a favorire il dialogo".